Valdobbiadene e dintorni: è qui che la vigna è stata ed è la ragione della prosperità per tutte le famiglie della zona. Ma adesso, nel momento del trionfo, è tempo di trasformare quella fonte di benessere economico in un bene da tutelare e “coccolare”.
La pensa così Desiderio Bortolin, contitolare, con il papà e le sorelle, di un’azienda che, a Guia di Valdobbiadene, produce uno dei vini più pregiati e graditi dai consumatori: il Valdobbiadene docg.
Sì, badate di non chiamarlo prosecco, perché perfino il figlio undicenne di Desiderio vi correggerebbe: dalla glera che cresce e porta frutto nasce, infatti, un vino che ha un’identità ben precisa. Perciò non è, neppure nel nome, il prosecco che si può produrre, ormai, anche nelle terre della pianura veneta.
«Questa terra è stata sfruttata. Ma adesso…». La frontiera nuova si chiama sostenibilità: «La mia generazione e la successiva hanno la missione della salvaguardia della nostra terra», afferma Desiderio, 45 anni, erede di generazioni di produttori di uva e di vino, che pensa già a quello che potranno fare i tre figli, oggi ancora bambini.
«Finora – riconosce – questa terra è stata sfruttata, in qualche occasione anche maltrattata. Ma i contadini di 50 anni fa erano uomini di fatica e dovevano far quadrare i conti. I contadini di oggi sono diversi. Sono laureati: ingegneri, agronomi, enologi… Tutti, comunque, con una preparazione culturale ben maggiore di un tempo. Ma allora, se hanno anche un sentimento, oltre alla competenza, hanno il dovere di salvaguardare la terra che stanno coltivando e da cui stanno raccogliendo vino e benessere».
400mila bottiglie in un anno. L’obiettivo è preservare benessere e qualità della vita e dell’ambiente, oltre le mere logiche di profitto. I conti sono buoni e non ci vuol molto a capirlo: l’azienda Bortolin ha “solo” 12 ettari di proprietà, da ciascuno dei quali ricava ogni anno, mediamente, 150 quintali di uva glera.
Accoglie inoltre le uve di svariate piccole aziende agricole dei dintorni. In totale lavoro circa 6mila quintali di uva, la vendemmia di una trentina di ettari di vigne. E ne ricava circa 4.800 ettolitri l’anno, parte dei quali imbottiglia, per un totale di circa 400mila bottiglie ogni anno. Tanto da realizzare un fatturato che supera i tre milioni, frutto di un mercato che continua a premiare questo vino e di un export crescente.
La differenza non la fa solo il denaro… Ma sostenibilità, secondo Desiderio Bortolin, è evitare l’ingordigia da successo e mantenere equilibrio: «Se volessi crescere dovrei acquistare uva destinata a qualcun altro. E dovrei pagarla di più. Innescherei così un meccanismo a vortice. E i prezzi si alzerebbero».
E si aprirebbe la “guerra” per il controllo del territorio. Ne vale la pena? «No. È una questione di filosofia aziendale e di rapporto fiduciario con chi ti conferisce l’uva. Noi abbiamo conferitori che da 40 anni sono gli stessi, anche se alcuni negli anni si sono aggiunti. L’importante è andare d’accordo, trattarli bene. La differenza non la fa solo il denaro, ma la soddisfazione che la tua uva possa essere valorizzata. Per loro è un orgoglio che la loro uva vada nelle mie bottiglie; e le mie bottiglie, per me, sono un orgoglio».
Una filosofia, questa, condivisa dalla maggioranza delle aziende medie e piccole della zona. Finché prevarrà, rileva Bertolin, e non accadrà che qualche grande impresa voglia annettere i piccoli, tutto funzionerà.
«Il mio vino non andrà mai nel bar di una sala con slot machine». Questione di sostenibilità, dunque. E di valori connessi. Anche nelle piccole cose: «Un giorno – ricorda Desiderio – sono andato a fare una consegna dei miei vini in un bar. Quando sono arrivato, mi sono accorto che era il bar di una sala slot. Ho fatto marcia indietro e, appena tornato a casa, ho scritto una lettera ai miei collaboratori, dicendo che il mio prodotto non deve andare in quei locali, perché non voglio esserne complice. Sono contrario a chi approfitta di una debolezza altrui: perché farci del male solo per ottenere del profitto?».
Giorgio Malavasi