Nanoparticelle di zirconia mesoporose capaci di effettuare contemporaneamente diagnosi e terapia di patologie specifiche sono state sintetizzate e sviluppate da alcuni ricercatori del gruppo “Chimica fisica dei materiali” del Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi dell’Università Ca’ Foscari Venezia.
Si tratta di un’invenzione talmente promettente, che un’azienda del nanotech per l’industria chimico-farmaceutica ha deciso di investirci, acquistando il brevetto e lanciando una nuova collaborazione con l’università.
Le particelle di zirconia sviluppate sono atossiche, possono trasportare molecole farmaceutiche e migliorare la terapia quando sia preferibile un rilascio modulato del principio attivo. Con queste caratteristiche, le nanoparticelle di zirconia mesoporose si candidano a sostituire un ruolo oggi ricoperto dalla silice, con vantaggi produttivi, ma anche di efficienza nella terapia. Potrebbero trovare applicazione anche nella diagnosi e cura del cancro.
“Il materiale brevettato ha dimostrato di possedere significative proprietà per l’utilizzo in campo medico – afferma Gabriele Sponchia, assegnista a Ca’ Foscari e co-inventore con i professori Alvise Benedetti e Pietro Riello. – L’applicabilità e la biocompatibilità in medicina di materiali a base di zirconia è già nota da alcuni decenni, ad esempio nella chirurgia protesica”.
Considerato l’elevato potenziale della tecnologia, l’ateneo ha deciso di tutelare l’invenzione tramite una domanda di brevetto italiana, successivamente concesso dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, ed estesa ora a livello internazionale. La zirconia mesoporosa di Benedetti, Riello e Sponchia è il primo caso di brevetto sviluppato a Ca’ Foscari e poi ceduto a un’azienda per l’ulteriore sviluppo industriale congiunto del prodotto. Il ricavato verrà suddiviso tra gli inventori, che possono decidere se accantonare la propria parte nei fondi di ricerca, e l’ateneo, che potrà finanziare altre attività di ricerca e di trasferimento tecnologico.
Perché l’università brevetta? “Ormai la ‘terza missione’, ambito in cui rientra il trasferimento tecnologico, è diventata compito fondamentale delle università che sono tenute ad agire per massimizzare l’impatto della propria ricerca sul tessuto socio-economico del Paese”, spiega Vladi Finotto, Delegato del Rettore alla Proprietà intellettuale, autoimprenditorialità e trasferimento tecnologico. “Se gli inventori avessero preferito pubblicare i risultati in assenza di una tutela giuridica, tutti potenzialmente avrebbero potuto beneficiare dell’invenzione. In realtà, nei fatti, nessuno ne avrebbe beneficiato: quale azienda investirebbe denaro nello sviluppo di un prodotto innovativo senza il vantaggio competitivo che il brevetto è in grado di garantire? Nel nostro caso invece parliamo di un’azienda che, grazie al brevetto e alla lungimiranza dei ricercatori, ha potuto scegliere di investire nella ricerca universitaria per valorizzarne il risultato rendendo disponibili nuovi prodotti innovativi che altrimenti sarebbero rimasti chiusi nei laboratori”.
L’azienda che ha creduto subito nelle potenzialità della tecnologia cafoscarina, acquistando il brevetto e sviluppando una collaborazione con l’università per lo sviluppo congiunto dell’invenzione, è Brenta srl. Impegnata nella ricerca nelle nanotecnologie e nello sviluppo più generale di piattaforme tecnologiche per applicazioni in ambito farmaceutico, Brenta è start-up innovativa all’interno di Holding F.I.S., Fabbrica Italiana Sintetici SpA con sede a Montecchio Maggiore (Vicenza), azienda a sua volta specializzata nella produzione di principi attivi ed intermedi per le più importanti industrie farmaceutiche internazionali.