Adesso inizia il difficile. Perché raccogliere il 60% dei consensi su una maggiore autonomia era abbastanza prevedibile.
Ma adesso si tratta di tramutare quella domanda in risultati concreti. Cosa che appare assai ardua. Tanto che è ugualmente prevedibile che di qui ad un anno ben poco sarà cambiato.
Intanto perché ciò su cui si può iniziare a contrattare è cosa ben diversa da quello che si aspetta la gente e, in particolare, i due milioni e passa di veneti che domenica 22 sono andati a votare.
Vien da sfidare i cittadini veneti a dire non tutte e 23, ma solo due o tre competenze su cui Zaia e i suoi assessori discuteranno con il Governo per ottenere più poteri alla Regione.
D’altronde, non per questo i veneti si sono recati alle urne. E non si sta dicendo che quelle competenze siano di poco conto o insignificanti.
Si dice invece che ciò che ha acceso di passione politica è la questione del residuo fiscale. Cioè le tasse versate allo Stato che tornano indietro in misura ridotta sotto forma di servizi ai veneti.
Il tema del residuo fiscale non è all’ordine del giorno della contrattazione che verrà avviata a breve; serve una riforma della Costituzione, che non è dietro l’angolo.
«I nove decimi delle nostre tasse tornino ai veneti», ha detto il Governatore Zaia dopo il voto; ma per un bel po’ questo resterà un desiderio.
Dunque tutto inutile il voto di ieri? No, è stato un segnale politico forte. Si tratta di tenere aperto, adesso, il sentiero tracciato. L’obiettivo – su cui davvero si troveranno grandi ostacoli – è quello della riduzione di antichi privilegi (le Regioni autonome a statuto speciale) ormai anacronistici e quello della perequazione dei servizi resi dallo Stato alle regioni. Con l’obiettivo di un’Italia più giusta e, proprio perciò, più solidale.
Giorgio Malavasi