Si è svolto domenica 1° ottobre nella sala Lux della parrocchia di Carpenedo un incontro sulla Amoris laetitia promosso dal Centro di studi teologici “Germano Pattaro” e dai gruppi sposi delle parrocchie di Carpenedo, Tolentini e S. Pantalon, dedicato ai capitoli 1 e 3 dell’esortazione. A guidare i partecipanti nella lettura è stato Mario Dupuis, fondatore della Opera Edimar di Padova, una comunità di accoglienza che ha nella famiglia il suo cuore.
Mario Dupuis non ha svolto una trattazione esegetica né del testo dell’esortazione né delle citazioni bibliche contenute, ma attraverso l’esperienza personale della sua vita di coppia e di famiglia, ha mostrato come possa avvenire nella concretezza della vita quotidiana ciò che la Parola rivela.
Tutto nasce dalla scoperta della presenza di Dio nelle circostanze in cui lui e la sua famiglia si sono trovati: la morte prematura di una figlia gravemente ammalata, l’incontro casuale con un ragazzo sbandato poi accolto in casa, la provocazione che queste vicende esercitavano a “convertire” il loro modo di vivere come famiglia.
Così è stato possibile per lui comprendere che quello che la Parola di Dio dice sul matrimonio e sulla famiglia non sono “parole”, ma possibilità concrete, a condizione che siano vissute come dono, come l’accettazione di un dono che ci viene offerto da Dio.
“Casa” è la parola-chiave. Secondo Dupuis, la parola-chiave per comprendere il messaggio che Amoris laetitia ci vuole dare nel primo capitolo è “casa”: lo dice subito il testo quando ci invita a seguire il Salmista e ad entrare in una delle case di cui la Bibbia parla (n. 8).
La casa è infatti il luogo proprio della coppia e della famiglia, ma soprattutto la famiglia “è la dimora di Dio per il mondo”. C’è tutta una linea che ci guida in questo: dal sì con il quale Maria è diventata, con il suo grembo, la “casa” che ha ospitato il Figlio di Dio, al sì di Giuseppe che ha accettato la sconcertante realtà che lo stava travolgendo, al sì con cui gli sposi, accettandosi e donandosi l’uno all’altro, iniziano una loro nuova vita. Perché è il “sì” che costruisce il luogo dove Dio viene incontro all’essere umano. Così, con un’immagine efficace, Dupuis propone di intendere la famiglia come il “terminale” della presenza di Dio nel mondo e, proprio per questo, anche il “terminale” della Chiesa stessa.
La famiglia è comunione. La famiglia è una comunione di persone, ma una comunione che non è il frutto dei nostri sforzi o della nostra buona volontà, sempre troppo limitati, bensì “nasce dal dono di un Altro, da chiedere e implorare”. È il dono che viene da Dio Trinità, perché la comunione nasce dalla Trinità, non può nascere soltanto dalla natura umana.
Per questo, se la comunione è ricevuta come un dono, può a sua volta essere donata, diventa accoglienza dell’altro, del diverso, a cominciare da quel “diverso” che è quell’altra persona di cui ci siamo innamorati, scoprendo il legame che si sta costruendo fra noi nonostante le nostre diversità.
La verità di se stessi. Che cosa può mantenere unita una coppia e una famiglia, al di là di tutte le difficoltà e perfino dei tradimenti? La scoperta che nelle relazioni fra le persone si può sperare la verità di se stessi: è questo il desiderio profondo di ogni essere umano che permette di superare le difficoltà; “se sento profondamente che nel rapporto con mia moglie io trovo la verità di me stesso, ogni difficoltà io possa incontrare non potrà essere più grande di questo”.
Certo, questa esperienza non è facile da realizzare, se pensiamo di esserne solo noi gli artefici; ma “se ci rendiamo conto che noi siamo amati da Dio nonostante la nostra fragilità, se Cristo diventa davvero il centro delle nostre vite, allora questo è il miracolo che può accadere: che la nostra piccola vita di coppia diventa segno – sia pure imperfetto (Amoris laetitia 72) – della Trinità”. È questa la “conversione” cui siamo chiamati. Il frutto di questa conversione sarà la “tenerezza dell’abbraccio” (Amoris laetitia 27), in cui accogliamo l’altro non perché ha bisogno di noi, ma “semplicemente perché c’è”.
Dupuis ha ricordato che nei primi secoli molti pagani si convertivano alla fede cristiana proprio perché vedevano che le famiglie dei cristiani vivevano in un modo del tutto nuovo e soprattutto erano “liete”.
Marco Da Ponte