Domenica scorsa Papa Francesco ha scelto di vivere la sua prima uscita “da casa” dopo il lungo e delicato ricovero presso il Policlinico Gemelli con un saluto al termine della celebrazione giubilare per gli ammalati e gli operatori sanitari. In molti hanno sottolineato che questo gesto è quasi un volersi fare pellegrino, da parte del Santo Padre, tra i pellegrini: malato tra i malati ha vissuto il “suo” Giubileo. Un pellegrinaggio non solo simbolico: la Sala Stampa vaticana ha reso noto poco dopo che il Pontefice aveva anche ricevuto il sacramento della riconciliazione nella Basilica di San Pietro e si era recato presso la Porta Santa, aperta la scorsa notte di Natale, per attraversarla come tutti i fedeli. Un Papa convalescente in pellegrinaggio a San Pietro. Un gesto che dice molto: dice soprattutto che la prima consolazione è Cristo stesso e che anche il tempo della malattia è sempre un tempo di testimonianza per ogni cristiano.
Nel suo messaggio ai malati il Papa scriveva circa il mistero del dolore e della malattia: «Non è sempre facile, però è una scuola in cui impariamo ogni giorno ad amare e a lasciarci amare, senza pretendere e senza respingere, senza rimpiangere e senza disperare. Grati a Dio e ai fratelli per il bene che riceviamo, abbandonati e fiduciosi per quello che ancora deve venire».
Il Santo Padre ha anche affidato il tradizionale discorso per l’Angelus che ovviamente non ha potuto leggere. In questo messaggio troviamo ancora un accorato e lucidissimo appello per la pace: «Continuiamo a pregare per la pace: nella martoriata Ucraina, colpita da attacchi che provocano molte vittime civili, tra cui tanti bambini. E lo stesso accade a Gaza, dove le persone sono ridotte a vivere in condizioni inimmaginabili, senza tetto, senza cibo, senza acqua pulita. Tacciano le armi e si riprenda il dialogo; siano liberati tutti gli ostaggi e si soccorra la popolazione. Preghiamo per la pace in tutto il Medio Oriente; in Sudan e Sud Sudan; nella Repubblica Democratica del Congo; in Myanmar, duramente provato anche dal terremoto; e ad Haiti».
Tra i leader del mondo solo il Santo Padre continua a testimoniare l’urgenza del dialogo. Questo risuona ancor più solitario in Europa dove, dinanzi a catastrofi presentate quasi come inevitabili, si opera per il riarmo e si rispolverano tecniche di persuasione delle masse che si sperava dimenticate. Si riafferma ancora una volta quanto liricamente aveva espresso circa il mistero della Chiesa il poeta Thomas Eliot nei cori da “La Rocca”, che la presentava come “la Straniera”: «È la Chiesa che ha abbandonato l’umanità, o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa? Quando la Chiesa non è più considerata e neanche contrastata, e gli uomini hanno dimenticato tutti gli dei, salvo l’Usura, la Lussuria e il Potere».
Preghiamo che il mite appello del Santo Padre, unito alla sua serena perseveranza nella malattia, sia ascoltato da coloro che reggono i popoli e che tutti i cristiani possano sempre essere testimoni d’amore e dialogo nell’abbandono fiducioso alla volontà di Dio.
Marco Zane