La scuola cattolica ha una ricchezza, perché aiuta a entrare nella vita con una marcia in più: quella che viene fornita dalla bussola della libertà.
Lo rileva il Patriarca Francesco nell’omelia pronunciata durante la Messa di venerdì 7 marzo mattina, nella basilica di San Marco a Venezia. La Cattedrale è gremita di bambini e ragazzi, di insegnanti e genitori, di religiose e religiosi. L’occasione è il 175° anno dalla fondazione della congregazione delle Figlie di San Giuseppe di mons. Luigi Caburlotto, il sacerdote veneziano (1817-1897) riconosciuto beato dalla Chiesa giusto dieci anni fa.
Il Patriarca si rivolge innanzitutto proprio a bambine e bambini che frequentano le scuole nate dal carisma di don Caburlotto e incentra la sua riflessione sul tema dell’educazione.
A partire dalle letture della liturgia: «Le letture in questo primo venerdì di Quaresima riguardano il tema del digiuno. Il digiuno – sottolinea mons. Moraglia – va visto come un fattore educativo. Il rischio è pensare che noi dobbiamo dare ai nostri ragazzi alcuni principi solo in vista del loro benessere e della loro salute fisica. Guai se non fosse anche così ma, se dobbiamo pensare in un modo concreto le proposte che la Chiesa fa, dobbiamo pensare che il digiuno non è solo una questione di valenza estetica o salutistica, ma riguarda l’uomo nella sua totalità. Il digiuno, infatti, ci aiuta a liberarci di alcune cose, perché ha prima di tutto un significato spirituale, di ridimensionamento dei nostri appetiti, della volontà di imporci e di avere predominio sugli altri».
Il saper governare la propria persona riguarda infatti la dimensione psicologica e spirituale, non solo quella fisica. «Se noi lavoriamo nell’educazione solo in una dimensione – prosegue il Patriarca – non educhiamo neanche quella dimensione su cui abbiamo puntato la nostra attenzione. E vale la pena di rimarcare anche il valore che ha il condividere qualche bene che noi abbiamo e che gli altri non hanno. Quindi il digiuno non è solo una privazione personale, ma è anche condivisione: quello che mi tolgo lo do agli altri».
Raggiungere questa consapevolezza e praticarla nella vita reale richiede allenamento: esattamente quello che la scuola aiuta a imparare; proprio ciò che don Luigi Caburlotto intuì fosse basilare quando, camminando nella Venezia del XIX secolo, si domandava cosa sarebbero potuti diventare (o non diventare) i bambini che vedeva per le calli.
«Se i nostri ragazzi sono disponibili in questa direzione – prosegue il Patriarca – allora la scuola cattolica ha un significato: non condivide solo i programmi ministeriali, che pure è cosa importante, ma va oltre l’istruzione e aiuta a educare e formare la persona».
Un cammino, questo, fondamentale soprattutto negli anni dell’infanzia: «Aver acquisito questi passaggi sarà basilare quando questi bambini e bambine diventeranno adolescenti, quando bisognerà entrare nella vita con una bussola: la bussola della libertà, dove la libertà non è “faccio quello che voglio, quello che mi torna più vantaggioso”, ma è rincorrere un progetto di bene e verità nella mia vita insieme agli altri».
Anche perché, se invece il percorso fosse disgraziatamente diverso e più povero, il pericolo di devianza sarebbe forte. In questo senso mons. Moraglia richiama una triste questione ricorrente ai giorni nostri: «Com’è possibile che certi uomini che si sentono abbandonati arrivino a sopprimere la persona che dicono di amare? Perché c’è il deserto, perché la libertà è solo “decido io per me e per gli altri”».
È perciò che la lezione di don Luigi Caburlotto è attuale: «Oggi ci chiede di riscoprire la passione educativa, che non è solo orientata ai doveri scolastici – è anche questo – ma è qualcosa di più. Per questo la scuola cattolica può avere, con l’alleanza di tutti, una marcia in più. Perché siamo migliori? No, perché abbiamo un progetto che viene dal Vangelo».
E allora, raccogliendo il testimone dal beato Caburlotto, si può continuare e attualizzare la sua lezione: «A noi sta interpretare la sfida educativa nella città del XXI secolo, nell’era digitale, in cui bisogna spiegare che il cellulare è un bene ma che non è il nostro padrone, che la Rete può essere consultata ma che bisogna essere educati a sapervisi muovere. Per questo servono la bussola della libertà e la luce che vengono da Cristo».
Giorgio Malavasi