«Il Credo non è uno statuto dei cristiani modificabile a maggioranza, non è neanche un riassunto, un codice o un prontuario». A prima vista, riflettere su cosa sia il Simbolo della Fede può sembrare una discussione riservata ai dotti e ai teologi. Eppure, non è così, dato che martedì 25 sera, in una Basilica di San Marco gremita da quattrocento persone, si è tenuto il primo degli incontri promossi dalla Pastorale diocesana della cultura e del turismo, che punta a unire bellezza e fede, spiegando il Credo niceno-costantinopolitano – quello che viene recitato a messa, di cui quest’anno ricorrono i 1700 anni, attraverso i mosaici della nostra cattedrale.
Relatori Alberto Peratoner e Giuseppe Tanzella-Nitti, entrambi eminenti professori in materie teologiche e filosofiche. Il primo incontro si è concentrato sulla disposizione spaziale della storia dell’annunciazione all’interno della basilica e, secondariamente, su quale senso abbia interrogarsi sul Simbolo della Fede. «Simbolo in greco indica l’azione di unire due metà per riconoscere un’identità comune», ha detto Tanzella-Nitti. «Perché la nostra identità ha bisogno di un simbolo? Come fanno le nostre affermazioni a parlarci di Dio? In effetti, interrogarci sul perché di un simbolo ci aiuta a capire cosa sia la fede e cosa vuol dire credere in Dio».
Del resto, se la fede è qualcosa di personale è anche perché accogliamo una storia che ci viene tramandata. Ecco allora la peculiarità di questi articoli, secondo Tanzella-Nitti: «Il simbolo vuole farci conoscere una storia, con protagonisti e fatti realmente accaduti; una storia d’amore, la storia della nostra salvezza, che ci narra che la nostra esistenza risponde al progetto del creatore, che ogni volto umano ha un senso. Questa storia ci racconta chi siamo, da dove veniamo, verso cosa tendiamo. Ci rivela chi ha riscattato la nostra vita».
Parole che hanno ancora più senso ascoltate sotto le volte musive della Basilica di San Marco, espressione concreta di una bellezza tramandata di generazione in generazione nella città lagunare. Di conseguenza, di fronte a questa storia la scelta richiesta è una scelta di libertà, come tutte le scelte di fede: «Per capire se Gesù è meritevole di fede bisogna conoscere la sua storia, frequentarlo. Credere in Dio vuol dire porre il nostro affidamento a un essere personale, non a una entità astratta o a un precetto». Un affidamento che non è cieco, ma che desidera scoprire se, dietro al mondo e dietro al manto dorato delle volte della basilica, c’è qualcuno che ha qualcosa da dirci.
Andrea Maurin