Un frasario per conservare e tramandare il dialetto buranello. Realizzato da Emilio D’Este, classe 1930, il volumetto è stato presentato lo scorso dicembre dall’Associazione Artistica Culturale di Burano che ne ha promosso la realizzazione. GV ha intervistato l’autore.
Come è nata l’idea di creare questo frasario?
L’idea è nata tre anni fa, quando ero ricoverato in ospedale a causa di una broncopolmonite. Ho chiesto ad un’infermiera carta e penna e ho iniziato a “buttare giù” le prime frasi. Il primo volumetto, intitolato Frasi buranelle tradotte in italiano, è stato presentato il 21 giugno 2023 dall’Associazione Artistica Culturale di Burano; lo scorso dicembre, invece, è stato presentato questo secondo frasario.
Quale è stato il processo di raccolta delle parole e dei detti? Ha consultato fonti scritte o orali?
Ho consultato principalmente il volumetto “Quaderno nella ricorrenza del centenario dello studio di Giandomenico Nardo”, presentato nel 1998 e basato sul libro “Studi sul dialetto di Burano”. Molte parole le ho ricavate dalle poesie pubblicate su “Il Ponte”, il giornalino trimestrale dell’Associazione Artistica Culturale di Burano. Tra l’altro, è presente anche una certa continuità tra il volumetto del 1998 e quello appena pubblicato, dato che il primo tratta principalmente il dialetto di Burano nel XIX secolo, mentre il secondo è incentrato sul Novecento. Ciò mette in evidenza anche la grande evoluzione del nostro dialetto, che dopo l’Unità ha subito una progressiva italianizzazione.
Come ha organizzato il frasario? Ha seguito un ordine tematico, alfabetico o un altro criterio particolare?
Il frasario è organizzato in quattro parti: una prima parte dedicata agli abitanti dell’isola, intitolata I buranelli (a sua volta divisa in i bambini all’asilo, i bambini alle elementari, i ragazzi alle medie, i laureati, ecc.), una seconda parte dedicata alle attività e ai mestieri (a sua volta divisa in i pittori, le merlettaie, la pesca, gli artigiani, gli ortolani, ecc.), una terza parte dedicata ai tipi di persone e ad alcuni usi e costumi di Burano (a sua volta divisa in i baruffanti, i malanni, lo carneval de Buran ecc.) e una quarta parte dedicata alle vie dell’isola (Giudecca, San Martino Destro, San Martino Sinistro, Terranova e San Mauro) e ai luoghi di riferimento per la comunità (il campanile, la chiesa, le scuole, il distretto). Ogni “sezione tematica” è costituita da alcune strofe in dialetto che hanno il fine di evocare valori, ricordi e luoghi significativi per la collettività.
Quali difficoltà ha incontrato in questo progetto?
In realtà, nessuna. Sono riuscito ad elaborare le frasi in modo molto spontaneo.
Qual è la frase o il detto che, secondo il suo parere, rappresenta al meglio l’essenza del dialetto e della cultura locale?
Su due piedi penso sia molto difficile individuare una frase o un detto che rappresenti al meglio la cultura di Burano, data la grande vastità e sfaccettatura del nostro dialetto, che riflette appieno la ricchezza e la complessità di questa tradizione. Tuttavia, a conclusione del libro “Storia di Burano”, presentato dall’Associazione Artistica Culturale nel 2010, è presente una sorta di postfazione intitolata “Burano allo specchio”, che è molto emblematica, poiché riassume brevemente i principali cambiamenti sociali affrontati dall’isola negli ultimi secoli.
Qual è, secondo lei, il futuro del dialetto buranello? Pensa che le nuove generazioni ne garantiranno la sopravvivenza o cadrà in disuso?
Potrebbe cadere in disuso, perché molti genitori al giorno d’oggi tendono a non insegnarlo ai propri figli. È proprio in questo contesto che noi dell’Associazione Artistica Culturale di Burano ci impegniamo a preservarlo.
Matteo Bon