Nella zona della Madonna dell’Orto si trova il laboratorio dell’ultima fonderia del centro storico veneziano, con alle spalle più di 110 anni di storia: è la fonderia Valese.
L’attuale proprietario, Carlo Semenzato, rilevò l’attività nel 2006: «La passione è nata casualmente – racconta Semenzato- perché all’inizio doveva essere un impiego provvisorio per entrare nel mondo del lavoro. Invece, trovandomi bene sia nell’ambito lavorativo sia a livello personale con le altre maestranze e avendo la possibilità di sviluppare idee per portare innovazioni, è diventato il posto fisso ormai da 46 anni. Probabilmente se non l’avessi rilevata, la fonderia avrebbe chiuso… Ma i miei datori di lavoro avevano visto in me il loro degno successore per portare avanti il nome e soprattutto per non perdere le competenze acquisite in oltre 90 anni: così ho fatto il passo, ma, devo confessare, con molta angoscia».
Per il grande pubblico la fonderia propone una vasta produzione che va dalle maschere ai leoni di Venezia e ai batacchi (in veneziano “musi da porton”) che mette poi in esposizione e in vendita nel negozio in calle Fiubera, vicino a piazza San Marco. Tuttavia negli anni l’attività è diventata famosa a livello internazionale grazie alle importanti commissioni ricevute. Tra queste si potrebbe citare la collaborazione pluridecennale con il Consorzio Italiano Grandi Alberghi (Ciga) che ha portato a un contributo nel restauro dell’Hotel Gritti nel 1989 e alla realizzazione di una riproduzione in miniatura della quadriga dei cavalli di San Marco. A Venezia l’azienda ha realizzato anche opere per Ca’ Corner, per la Cassa di Risparmio, per piazza San Marco quando i lampioni vennero distrutti durante il celebre concerto dei Pink Floyd, per studi artistici di Murano, per il Carnevale e per tante altre occasioni. Inoltre lavori della fonderia Valese si trovano in Germania, Stati Uniti, Giappone e altri Paesi: «Sinceramente abbiamo fatto talmente tanti lavori importanti e che per noi sono stati fattori di crescita che faccio fatica a dire quale ci abbia dato maggiore soddisfazione- afferma Carlo Semenzato-. Forse le riproduzioni di appliques, plafoniere ed altro per il Teatro Fox di Atlanta (Georgia, Usa) che erano andate distrutte in un incendio».
La fonderia, inoltre, porta avanti una tecnica particolare di lavorazione, detta a staffa: «Il sistema di lavorazione a staffa è il più tradizionale – spiega Semenzato- e consiste nel pressare la sabbia (o, meglio, la terra di Francia) in un telaio detto “staffa” o “libro” perché si apre in due metà. In una delle due parti si posiziona il modello da riprodurre, poi si sovrappone l’altra parte e si pressa la sabbia in modo che rimanga impressa l’impronta del modello. Poi, aperta la staffa e tolto il modello, si creano i canali di alimentazione in cui il metallo fuso potrà scorrere per raggiungere le parti vuote dopo avere richiuso la staffa».
Attualmente alla fonderia lavorano quattro artigiani, compreso il proprietario, e come in altri settori dell’artigianato, purtroppo sono pochi i giovani a manifestare interesse per il mestiere: «È un lavoro non appetibile e quindi, se si ha bisogno di assumere un apprendista, si fa fatica a trovare giovani validi e motivati».
Camilla Pustetto