Sereno, tranquillo e in pace. Rafael Arias Mejía, 26 anni, originario della Colombia e proveniente dal Seminario Patriarcale, prossimo diacono per la Chiesa di Venezia in vista del sacerdozio, si descrive così a pochi giorni dall’ordinazione: «Diventando diacono mi impegno per tutta la vita, ma mi rendo conto che posso impegnarmi dicendo il mio “per sempre” perché Dio, in realtà, l’ha detto prima di me. Non potrei altrimenti dare la vita, è stato Lui a chiamarmi! Ecco perché sono sereno, tranquillo e in pace. Sono certo di una cosa: quando si dà la vita per Lui, Lui ti dà tutto, non ti toglie nulla, ti regala il centuplo».
Rafael sa bene cosa significa offrire la vita per il Signore; lo ha imparato e respirato, da subito, nella sua bella e numerosa famiglia colombiana. Nato nella capitale Bogotà, dall’età di 2 anni comincia a girare il suo Paese per una serie di trasferimenti e traslochi al seguito dei suoi genitori – il papà è medico e la mamma assistente sociale – resi disponibili e dediti totalmente alla missione e all’evangelizzazione nell’ambito del Cammino neocatecumenale. Nel 2000 la famiglia si sposta a Sogamoso, nel 2007 a Ubaté e un anno dopo a Zipaquirà (dove sono tuttora), nell’area centrale della Colombia. Rafael è il quarto di otto fratelli; i due più grandi sono già sacerdoti, una sorella è monaca di clausura in Spagna, altri due fratelli più piccoli sono in Seminario (uno in Colombia, l’altro in Terra Santa) e lui, a Venezia, sta diventando diacono in vista del presbiterato. «Siamo una famiglia un po’ particolare – osserva -, ma la vocazione di ognuno di noi fratelli è stata diversa. Non è stata un cammino scontato, ognuno l’ha sviluppata per conto suo. Io ad esempio, da bambino, non avevo mai avuto il desiderio di diventare prete. Certo, tutti siamo cresciuti in un contesto particolare in cui vedevamo i nostri genitori mettere al primo posto Dio e la missione».
La vita di Rafael, fino ad un certo momento, sembrava orientarsi su altri versanti; consegue la maturità a 16 anni, vince una borsa di studio e si iscrive a Filologia nella migliore università della Colombia, ha una ragazza, tutto pare filare bene e liscio eppure, ad un certo punto, entra in crisi e si imbatte in alcune domande forti: «Ma io cosa voglio fare della mia vita? Sto facendo davvero quello che mi renderà felice? Tutto quello che stavo vivendo mi piaceva sì, ma non vedevo lì la prospettiva vera e piena della mia vita. E così è nata una domanda vocazionale che in parte c’era già. Ho iniziato a pensarci e ho visto che attorno a me le persone più felici erano quelle che lavoravano e vivevano per Dio». Da lì nasce il suo nuovo percorso che lo porta a rendersi disponibile ad entrare in Seminario e che lo proietterà, non senza intoppi, a Venezia dove giungerà il 5 aprile 2017 per cominciare gli studi di Teologia in Seminario. «L’impatto con Venezia – ricorda – è stato, da subito, molto buono ma c’è voluto prima un anno di fatica e sofferenza per arrivare qui ed è stato davvero molto difficile. Avevo lasciato l’università e la ragazza ma non riuscivo a partire per questioni burocratiche. Il Signore mi aveva detto di lasciare e partire, io avevo lasciato ma non partivo più… La prova che ho vissuto in quel periodo ha però aumentato in me il desiderio: Dio mi stava aspettando a Venezia».
Rafael parla con grande gioia della sua esperienza in Seminario Patriarcale e nelle varie realtà della Diocesi di Venezia in cui si è inserito: in periodi differenti è stato nelle parrocchie veneziane di San Silvestro e San Cassiano (e conserva sempre nel cuore la forte testimonianza di don Antonio Biancotto, «una vita donata alla Chiesa»), nelle comunità del Lido di Venezia, a San Nicolò di Mira (dove, rivela, ha trovato «un’altra famiglia che mi è stata molto vicina nei mesi scorsi quando ho dovuto affrontare una malattia e le conseguenti terapie a Padova»; fa parte, inoltre, di una delle comunità neocatecumenali di S. Maria Formosa. Attualmente è stabile a Roma per studiare Teologia morale all’Università della Santa Croce. Per Rafael giunge, dunque, il momento dell’ordinazione diaconale: «Un momento fondamentale. M’impegno per sempre, per tutta la vita, ma Dio questo “per sempre” l’ha detto prima di me… Appena arrivato a Venezia avevo vissuto subito la celebrazione del giovedì santo e il Patriarca mi aveva lavato i piedi. Adesso ecco il diaconato, che mi configura a Cristo servo nella festa di Cristo Re ad indicare una regalità che non è tipica degli uomini di questa terra, che la esercitano con la forza, ma un mettersi a servizio di ogni uomo. Servire è veramente regnare».
Alessandro Polet