«Il dialetto è la lingua della pancia, quella con cui ti arrabbi e ridi meglio, con cui esprimi appieno le emozioni»
Dal cuore della laguna veneziana, Carlotta Berti, laureata in Economia e Gestione dei Beni Culturali, giovane content creator seguitissima sui social, appassionata divulgatrice della cultura locale, invita a scoprire le sfumature del dialetto e delle tradizioni della sua città attraverso il suo libro “Co digo, digo! Usi, costumi e gergo dei veneziani” (Editoriale Programma, 2024).
Sui social, Carlotta Berti porta il veneziano, il significato del dialetto nella cultura, le differenze generazionali nell’uso della lingua e il legame profondo tra il vernacolo e l’identità degli abitanti, elementi che restano al centro del suo libro.
Il titolo “Co digo, digo!” è simpatico e curioso, perché proprio questo detto?
Il titolo del libro prende ispirazione da un cartello attaccato ad una bricola a Santa Marta “Rivo co rivo, ma co rivo, rivo”, letteralmente “arrivo quando arrivo, ma quando arrivo, arrivo”. Magari non a tutti sarà immediatamente chiaro il senso di questa frase, ma essa racchiude l’essenza più verace dei veneziani: arriviamo con i nostri tempi, con la nostra verve, ma state pur certi che quando arriviamo, è impossibile non notare la nostra presenza.
Quali espressioni veneziane descriverebbe come le più caratteristiche o curiose?
‘Gnanca omo’ è una delle espressioni dialettali più caratteristiche e curiose. È l’espressione che serve per lanciare una sfida a Venezia: con solo queste due parole si va a colpire profondamente l’orgoglio di un veneziano, il suo punto debole. Letteralmente significa ‘non sei abbastanza coraggioso, non sei in grado di fare ciò che ti sto per chiedere.’ Questa espressione ha effetto solo se detta a un veneziano; la trovo affascinante, un’arma infallibile. Un’altra parola super caratteristica è ‘refoeada,’ che non significa soltanto ‘odore,’ ma fa riferimento soprattutto alla ‘scia’ che lascia l’odore. Per farvi capire meglio, è l’odore di pesce che si sente tra le calli di Venezia, l’odore di un piatto di ‘bigoi in salsa’ tra le scale di un condominio veneziano.
Ha riscontrato delle differenze generazionali nell’uso del dialetto veneziano? Sta osservando una rinascita o un declino nell’uso del dialetto tra i giovani veneziani?
Il dialetto sta cambiando, sì. Questo significa che Venezia e i veneziani esistono ancora, e ciò fa ben sperare. Non noto un declino nell’uso del dialetto tra i giovani; il vero problema è che non ci sono più molti giovani a Venezia. Quelli che ci sono lo parlano tutti, o comunque lo capiscono perfettamente. Non c’è scampo, è parte di noi. Certo, il dialetto dei miei nonni è molto diverso dal mio. Questo si nota soprattutto nei nomi che noi giovani diamo a certi luoghi storici di Venezia: Via Garibaldi, per me, è ‘Via G’; S. Zaccaria, storica fermata del battello, per me è ‘San Zacca.’ Oppure nei saluti veneziani: Mio nonno dice ‘ciao paron/maestro,’ mentre io mi limito a un ‘bea more!’”
Quanto pensa che il dialetto veneziano influisca sull’identità culturale della città e dei suoi abitanti?
Quasi totalmente. I nostri piatti tipici non possono che essere pronunciati in dialetto, così come la toponomastica e, a volte, anche i soprannomi dati agli amici. In questa città il dialetto pullula e permea la nostra vita fin dalla nascita. Non esiste veneziano al mondo che non si sciolga quando, all’estero, trova un riferimento a Venezia, un’espressione simile al veneziano, o, ancor di più, un concittadino.
Scrive che Venezia ha un modo unico di esprimersi. Quali sono le difficoltà più comuni che un non-veneziano potrebbe incontrare quando tenta di comprendere il dialetto locale?
La difficoltà più grande sta nella comprensione delle intenzioni. Un veneziano, quando parla in dialetto, sembra sempre scocciato e anche un po’ arrogante; ciò è dovuto alla cantilena del dialetto o forse anche a una frustrazione intrinseca data dalla scomodità della città. In secondo luogo, direi i ‘false friend’: esistono parole italiane che in veneziano assumono un significato totalmente diverso. Ad esempio, ‘serco’ significa ‘assaggiare’, ‘rusar’ vuol dire ‘grattare’, e ‘sconto’ significa ‘nascosto’.”
Il dialetto veneziano, come i dialetti in generale, ha una forte connessione con la cultura locale. Quanto è importante conservarlo e tramandarlo?
Penso che in una città come Venezia, con l’esodo cittadino vissuto negli ultimi 30 anni, sia più importante che mai mantenere viva la nostra ‘lingua’, che è cultura. Il nostro dialetto esprime esso stesso il modo di vivere e di sentire Venezia. Per questo penso che sia fondamentale, in generale, mantenere vivo il dialetto di un luogo per non far morire la sua identità. A Venezia, ancor di più.
Quali i suoi progetti futuri e come vede l’evoluzione del suo percorso?
Penso che tutto ciò che farò in futuro avrà come fil rouge il veneziano, perché è la lente attraverso cui vivo le cose. Magari non sarà sempre al centro, perché sento di avere tanto altro da esprimere, ma sarà lo strumento attraverso cui leggerò, vivrò e sentirò tutto ciò che verrà.
Il libro è dedicato a sua nonna, sua fan più grande. Qual è il consiglio più prezioso che le ha dato?
Oltre ad essere stata la mia più grande insegnante di dialetto (nonostante si sia sforzata fino alle medie di parlare in italiano a me e a mio fratello), non la ringrazierò mai abbastanza per non aver mai smesso di sostenermi, pur non capendo nulla dei social. Il consiglio che mi ha dato, forse senza nemmeno rendersene conto, è di andare sempre avanti con impegno e molta umiltà, perché prima o poi si viene sempre ripagati. Quando si ha la coscienza pulita, l’animo libero, non si lede la libertà altrui e si portano avanti i propri ideali in modo genuino e sano, i risultati arrivano sempre.
Cosa spera che i lettori traggano dal suo libro in termini di comprensione o apprezzamento della cultura veneziana?
Che è un unicum che merita di essere scoperto. Che Venezia non è solo una città scomoda, senza abitanti, piena di turisti, priva di cestini e con poca connessione per Google Maps, ma che ha un’anima particolare. Ha bisogno di cura e di essere amata. Vorrei che i lettori empatizzassero con l’anima profonda di Venezia. Lo faccio in modo ironico, che per me è sempre la chiave più potente.
Giuseppe Antonio Valletta