Una sfida da vincere, per se stessi e per gli altri. Ha un significato molto speciale il progetto “Mettersi alla prova in roccia” promosso per il secondo anno dall’associazione veneziana La Gabbianella e altri animali in collaborazione con l’Ussm (Ufficio di Servizio Sociale per Minorenni) con il finanziamento della Regione Veneto e la partnership del Cai del Veneto, del Ceve (Centro Edili Venezia) e del Serd (Servizio dipendenze dell’Ulss). Un progetto che offre a ragazzi che hanno avuto dei problemi con la giustizia l’opportunità di “mettersi alla prova” in montagna, imparando ad arrampicare sulla roccia.
Accompagnati da Carla Forcolin, responsabile del progetto (fondatrice della Gabbianella di cui oggi è presidente Anna Sacerdoti), sei ragazzi hanno avuto l’opportunità di partecipare ad un corso di arrampicata seguendo le lezioni teoriche e pratiche, con uscite in montagna, degli istruttori del Cai. «Dei sei partecipanti, di cui uno minorenne, sono arrivati fino alla fine del percorso in quattro, che è comunque un buon risultato. Dei due che si sono ritirati, uno lo ha fatto perché si è infortunato e un altro ha lasciato perché in crisi con i suoi progetti di vita», spiega Forcolin che per ovvie ragioni di riservatezza non entra nel merito delle problematiche che hanno portato questi giovani ad avere a che fare con la giustizia. «Posso dire, rimanendo su riflessioni generali, che una problematica abbastanza frequente per questi giovani è legata alla droga e alla tossicodipendenza. Il percorso molto spesso è questo: il ragazzo attraversa un momento di crisi personale, vive un profondo malessere e incontra qualcuno che gli promette di stare meglio, facendogli provare le droghe. Con la tossicodipendenza, poi, il ragazzo inizia a spacciare per ottenere i soldi necessari ad avere la droga: e diventa schiavo di questa necessità». Fino a finire in carcere, quello minorile nel caso sia minorenne. Talvolta questi ragazzi, ricorda Forcolin, hanno già il padre in prigione: «E questo ci deve interrogare su cosa si possa fare in termini di prevenzione».
Il percorso che invece si intraprende una volta che un giovane entra in contatto – in prima persona – con la giustizia coinvolge l’Ufficio di Servizio Sociale per Minorenni che attraverso gli assistenti sociali lo segue perché comprenda gli errori commessi, prenda coscienza del reato e cambi strada. II percorso prevede che il ragazzo si metta alla prova, facendo del volontariato, cercando un lavoro o riprendendo gli studi se li aveva interrotti: «Deve dimostrare di aver tagliato i ponti con la devianza».
E’ in questo contesto che si inserisce anche il progetto legato all’arrampicata, che ha il valore di insegnare ai ragazzi a mettersi in gioco, sfidando le proprie capacità, con l’aiuto dei propri pari. Nove gli appuntamenti, tra lezioni teoriche, uscite in montagna e altri incontri a posteriori per collaborare a un progetto di restituzione. Lo scorso anno, con la collaborazione di un fotografo, ne era scaturita una mostra fotografica ed era stato realizzato un calendario. «In quel caso i ragazzi partecipanti avevano collaborato a scrivere le didascalie. Mentre stavolta, grazie alla collaborazione del regista Giovanni Sambo che ha montato i video fatti durante le uscite, verrà realizzato un piccolo filmato», racconta Forcolin che tira le somme del progetto, iniziato in primavera: «Non è stato facile abbiamo avuto più difficoltà dello scorso anno, a cominciare dal meteo dato che il maltempo ci ha obbligati spesso a spostare le uscite, cosa complicata dato che i ragazzi erano impegnati anche con il lavoro e con il volontariato. Anche i trasporti quest’anno sono stati difficoltosi, perché anziché il furgoncino disponibile lo scorso anno, spesso guidato dal fotografo, stavolta il gruppo si è dovuto spostare in treno con spese più alte. E anche l’organizzazione con le guide, proprio perché alcune date sono saltate per il maltempo, è stata più complicata, dovendo fissare la nuova uscita all’ultimo momento. Ma alla fine è andata bene, è stata un’esperienza valida, i ragazzi si sono appassionati alla montagna, hanno legato tra loro, pur avendo esperienze e provenienze molto diverse. Si sono aiutati come fratelli, perché questo succede quando si va in montagna. E poi – aggiunge Forcolin – l’arrampicare è un po’ come il gioco che si fa da bambini, c’è un ritornare al divertimento puro. Molto divertente da questo punto di vista è stato anche il “canyoning” che hanno sperimentato in un’occasione: la montagna è un hobby sano, che insegna a rispettare la natura. I ragazzi hanno imparato a non raccogliere i fiori, a non gettare i mozziconi per terra e hanno anche capito che fumare fa male perché taglia il fiato e rende faticoso l’andare in montagna».
Poi c’è la questione fondamentale dell’autostima: «Arrampicare li ha fatti sentire forti, coraggiosi, hanno avuto la sensazione di potercela fare. E l’autostima è un aspetto molto importante per loro».
Altro fattore è l’opportunità lavorativa: «Saper stare agganciati alle corde è un requisito richiesto da chi fa lavori edili in fune. E la collaborazione con il Centro Edili Venezia ha proprio questo obiettivo. Qualcuno dei ragazzi – conclude Forcolin – potrebbe intraprendere questo percorso».
Serena Spinazzi Lucchesi