«Gli adolescenti hanno grandi aspettative dal lavoro, ma spesso, dopo essere entrati nel mercato, i loro sogni vengono delusi o perlomeno ridimensionati. Quanto noi adulti siamo responsabili di far svanire questo sogno?». A porre il quesito, è stato il sociologo Daniele Marini autore della ricerca svolta in collaborazione con Irene Lovato Menin “Il posto del lavoro”, edita dal Sole 24 Ore, presentata lo scorso mercoledì 10 luglio presso la sede del Seminario Patriarcale di Venezia dalla Fondazione Engim Ets che l’ha promossa a inizio 2024 e che dall’11 luglio è disponibile in forma di saggio.
Durante la conferenza sono intervenuti anche Alberto Orioli, vicedirettore ed editorialista del Sole 24 Ore, James Calleja, presidente di EfVET, Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica e Massimo Temussi, Direttore generale delle Politiche attive per il lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Daniele Marini ha dunque evidenziato il problema delle aspettative deluse, invitando le imprese a tenere conto delle aspirazioni dei giovani. Su questo punto Stefano Franchi non si è trovato del tutto d’accordo: «I ragazzi dovrebbero sognare con i piedi per terra – spiega il direttore generale di Federmeccanica – e noi adulti non dovremmo generare delle aspettative irrealizzabili. Bisogna diffondere la cultura del lavoro e dei valori coerenti con la società in cui viviamo e fare in modo che i sogni diventino obbiettivi. Per fare ciò occorre un metodo didattico differente che lavori nelle scuole in cui anche la famiglia è ancora ben presente». Federmeccanica, infatti, da alcuni anni si propone di orientare alla cultura tecnica e scientifica gli studenti delle scuole elementari e medie con il progetto “Eureka! Funziona!”.
Un nuovo equilibrio con la vita personale. L’altro punto chiave emerso dalla ricerca di Marini e Lovato Menin è il sistema valoriale della generazione Z, leggermente diverso rispetto ai giovani già entrati nel mercato del lavoro, ma molto diverso sotto alcuni aspetti anche rispetto alla generazione degli over 65. Dopo una breve considerazione sul fatto che cultura personale, impegno politico e religione sembrano perdere importanza per questa generazione, il professore ha sottolineato che dai sondaggi risulta evidente che sempre di più i giovani cercano il cosiddetto work-life balance, il bilancio tra il lavoro e altri aspetti della vita personale. Su questa riflessione si è inserito il commento di Alberto Orioli, autore della prefazione del saggio “Il posto del lavoro”: «Gli adulti devono capire le diverse esigenze delle nuove generazioni e le aziende devono gestire le loro richieste. I giovani da parte loro sanno di avere un alto valore sul mercato (anche a causa dell’inverno demografico) e di potersi permettere di cambiare lavoro. Per 30 anni abbiamo lottato perché l’articolo 18 non venisse abolito perché temevamo i grandi licenziamenti, ma adesso ci troviamo inaspettatamente davanti alle grandi dimissioni. I giovani si chiedono a cosa serva il lavoro, disprezzando il denaro per il denaro, e perseguono quella felicità post-illuminista che poi è entrata nella costituzione americana. Bisogna creare un microclima aziendale per trovare la felicità anche nell’azienda».
A margine si potrebbe considerare che sia Marini sia Orioli notano che nelle nuove generazioni non vi è più l’idea di un rigido percorso di formazione-lavoro-pensione, magari con un posto fisso, ma che si tende invece a vedere un percorso continuo che mette in conto quella che da molti non è più sentita come precarietà ma come flessibilità.
Sul perseguimento della felicità da parte dei giovani è intervenuto anche James Calleja, osservando che la generazione Z, nonostante possieda una buona velocità di apprendimento e abbia la possibilità della comunicazione immediata, spesso si trova vittima dell’incertezza e del disagio mentale. Secondo Calleja ciò è dovuto alla mancanza della presenza umana, anche degli insegnanti: «Nel campus che dirigo a Malta – racconta Calleja – gli studenti soffrono quando devono ascoltare i docenti in collegamento a distanza. Hanno bisogno del contatto umano, di essere ascoltati. Per questo io ogni due settimane partecipo alla riunione del consiglio dei giovani e ascolto le loro richieste».
Camilla Pustetto