«Il guaio è quando l’altro diventa solo possesso. Il problema grosso è quando amore significa solo: io ho voglia di… Ed è qui che sta la radice ultima di tutti quei fatti di cui sentiamo sempre più notizia nei tigì. A partire dal femminicidio, compiuto da mariti, conviventi, compagni, fidanzatini, perfino dai compagni della madre, come nel caso recentissimo della 15enne Nicolina. E questo perché solo impossessandosi dell’altro si pensa di trovare se stessi. E invece ci si smarrisce».
Sono le parole del Patriarca, pronunciate domenica 24 nell’omelia della Messa con cui si è conclusa la Giornata diocesana di formazione per catechisti, animatori, insegnanti e, più in generale, genitori.
“Non accettava di essere lasciato”: è la frase che sentiamo dire, scatenante di tante violenze, ricorda mons. Moraglia: «E la si dice perché l’altro non è più un tu, ma diventa oggetto di proprietà».
Anche il reato di stalking – avverte il Patriarca Francesco – ha qui la sua radice, «perché si arriva a una disumanizzazione reciproca del rapporto con l’altro».
Un’impostazione siffatta del rapporto uomo-donna rende inoltre impraticabile la costruzione di una comunità famigliare: «Rende impossibile il dialogo fra un io e un tu, in cui i due soggetti si riconoscano nella loro alterità. Perché riconoscere l’altro vuol dire rispettare l’altro. E sottolineo la centralità del pudore, perché il pudore è un altro nome del rispetto».
Allora il grande lavoro da fare, per mitigare o evitare distorsioni che producono anche tragedie, è di tipo educativo: «Ciò che va riscoperto, che ha senso e che dà senso – conclude il Patriarca – è il rispetto, il pudore, nei confronti di sé, del proprio corpo e nei confronti dell’altro. L’altro è una incomunicabilità che io posso intercettare nella mia relazione di reciprocità. E l’incontro avviene davvero solo se io ho dinanzi l’altro come colui o colei che mi arricchisce, nel rispetto e nel dono reciproci».