La misericordia passa per la croce, per la verità, per l’affidarsi. A spiegare il perché di questi tre “varchi” per i quali passa la misericordia cristiana è San Disma. E a San Pietro di Favaro adesso c’è uno strumento in più per capirlo.
Spieghiamoci, a partire da San Disma, che non per tutti è il santo più noto… Per renderlo più familiare basterà dire che è il buon ladrone, quello che, crocifisso insieme a Gesù, riconosce i propri sbagli e chiede perdono. «È anche il primo santo, cioè il primo di cui abbiamo la certezza che sia stato canonizzato», aggiunge il parroco di San Pietro di Favaro, don Francesco Marchesi, ricordando che a far memoria di questo “primato”, durante degli esercizi spirituali per i giovani, presente il Patriarca Francesco, è stato don Salvatore Roxas. «L’osservazione risale a circa un anno e mezzo fa – precisa don Francesco – e da allora il tema della misericordia incrociato con il nome di san Disma ha interrogato di frequente il mio cammino di fede. Al tempo stesso intuivo che non poteva non interrogare il cammino di fede di una comunità cristiana».
Da qui l’idea di raccontare l’insegnamento di Disma per immagini, in particolare secondo quel singolare tipo di immagine, intrinsecamente connesso con la preghiera, che è l’icona.
La familiarità di don Marchesi con la Fondazione Russia cristiana ha fatto il resto: «In Russia cristiana – chiarisce – c’è anche una scuola iconografica, la prima in Italia ad avere il riconoscimento dei più grandi maestri russi, tanto che alcuni dei nostri maestri hanno ricevuto il ministero dell’iconografo».
Per due volte il parroco e un gruppo di San Pietro di Favaro si sono recati a Seriate, sede di Russia cristiana, a incontrare gli iconografi: «Loro si sono subito appassionati al progetto già al primo scambio di idee e da lì è nato un cammino durato quasi un anno. In questo tempo hanno realizzato una grande tavola di legno usando la tecnica e i materiali dell’icona».
La prima domenica di Quaresima il dipinto è stato posizionato in chiesa a Favaro: «C’era tanta gente e, dopo la Messa, abbiamo vissuto insieme, in centotrenta, anche il pranzo in parrocchia. Poi, subito dopo pranzo, ci hanno raggiunto altre persone altre parrocchie della collaborazione pastorale e gli iconografi hanno letto quello che hanno scritto. Sì, perché le icone sono preghiera e si scrivono. Perciò abbiamo chiesto loro di leggere quello che hanno scritto. Nell’arte iconografica, d’altronde, c’è una fortissima componente simbolica, con una quantità di dettagli che trasfigurano l’immagine così come appare all’osservatore. In questo modo la descrizione dell’opera si è trasformata in una catechesi sulla misericordia».
E l’icona racconta proprio quei tre “varchi” attraversati dalla misericordia di Dio: «Disma – spiega don Francesco – ci mette di fronte alla spudoratezza di questa misericordia. Ma per esserne avvolto il buon ladrone è dovuto salire in croce pure lui». Quindi – ed è il primo “varco” – si impone alla meditazione il tema della croce: «Misericordia inaudita e croce non sono separabili, sono misteriosamente intrecciate».
Il secondo passaggio ha a che fare con la verità: «Nel Vangelo di Luca si legge che, mentre la gente canzona Gesù crocifisso, l’altro ladrone dice a Cristo, in maniera cinica e sarcastica: “salva te stesso e salva anche noi”. Fa cioè un tentativo per addomesticare Dio a propria immagine. Ma l’altro malfattore condannato al supplizio, Disma, lo mette a tacere: “noi moriamo giustamente per i nostri peccati – lo rimprovera – mentre lui muore innocente”. Disma chiama cioè le cose con il loro nome. La verità delle cose apre un canale alla misericordia».
Infine – terzo e ultimo “varco” – ci sono le ultime parole pronunciate dal buon ladrone: «Proprio quelle – conclude don Francesco Marchesi – che spero anch’io di avere in bocca quando sarà il momento della mia morte: “ricordati di me quando sarai nel tuo regno». Parole che nascono dalla consapevolezza che non possiamo salvarci da soli».
Giorgio Malavasi