Più che un mestiere una vocazione, che tanto ti permette di ricevere ma che altrettanto ti chiede di dare alle persone fragili, che vedono negli Oss un punto di riferimento importante.
Classe 1974, Mary Francesca De Santis lo svolge a Mestre, nell’Antica Scuola dei Battuti, dal 2006 e lo consiglia a chi sta scegliendo la strada da intraprendere. Ad una condizione: cercare di tutelarsi, per evitare di venire letteralmente assorbiti da un’attività fatta di storie, impegno e fatica a livello fisico e mentale e di quelle necessità continue degli anziani ospiti, da cui non bisogna farsi sopraffare. In altre parole, «essere sensibili ma non troppo, poiché il nostro è un mestiere che ti fa portare a casa un bagaglio notevole se non sei in grado di staccare realmente, una volta terminato il tuo turno».
A sottolinearlo è De Santis, che ricorda come gli operatori socio sanitari come lei accompagnino gli anziani nel loro ultimo tratto del percorso, come pure verso la morte. «Se si vive questo lavoro con la giusta consapevolezza, allora lo si riesce anche a gestire emotivamente. Altrimenti può essere molto faticoso. Cosa rappresento per gli ospiti? Una risorsa: se hanno bisogno di compagnia, gliela posso garantire. E se cercano una nipote su cui riversare il proprio affetto, posso fare anche questo. Senza considerare tutto il sostegno che personalmente posso offrire sia a livello morale che motorio. All’inizio la tendenza è quella di buttarsi in questo mestiere a capofitto, anche soffrendo. Poi invece, non appena si è un po’ più maturi, lo scenario lo si comincia a vedere con la giusta razionalità, che aiuta a far bene senza logorarsi. Insomma, è tutta questione di equilibrio».
Senza mai dimenticare che sì, si tratta di anziani il più delle volte con una demenza senile che ne contraddistingue il quotidiano, anche se non sempre. «Bisogna rispettare quello spazio di lucidità che conservano, trattandoli come persone che sanno quello che vogliono senza necessariamente decidere per loro. In questo modo si evita di generare una sofferenza doppia o di far sentire la persona sminuita. Non siamo medici o psicologi: ciò che conta è quello che possiamo fare».
Pugliese di nascita ma residente a Marcon, De Santis ha alle spalle un passato da maestra nelle scuole elementari. «Ho iniziato con le supplenze nel territorio, fino all’epoca della riforma Moratti che ha bloccato i concorsi e di conseguenza anche tutte le prospettive future nel contesto». Dopo aver valutato uno sbocco come insegnante di sostegno, la decisione di prendere parte al concorso lanciato dall’Antica Scuola dei Battuti, dando avvio ad un’attività che continua instancabile ancora oggi. «È di tipo assistenziale – spiega l’Oss – dopodiché tutto dipende dal piano di lavoro stabilito e dagli operatori effettivi che abbiamo in campo ogni giorno. Le mansioni quindi sono piuttosto elastiche. Sono tra l’altro anche una referente di turno, figura intermedia tra l’operatore e il responsabile».
Tra i ricordi più significativi, capace di sintetizzare il reale valore di questo mestiere, c’è quello di una figlia e di una madre ormai anziana, i cui giorni stavano ormai volgendo al termine. «La prima si affidava a me per assicurarsi che la mamma mangiasse, bevesse e facesse un po’ di movimento. Ma dal canto suo quest’ultima si stava via via spegnendo e non aveva più voglia di farlo. E così ho dovuto cercare di stabilire il giusto equilibrio fra quello che mi chiedeva l’una e il volere dell’altra: non è stato facile, ma è stato bello trovarlo. Se si riescono ad unire cuore e professionalità, si porta a casa tanto».
Poi l’episodio di un signore che continuava ad avanzare richieste, tanto che la direzione si è trovata costretta a porre dei paletti. «Mi sono detta: perché non provare a dargli ciò che vuole, come asciugamani e bicchieri di plastica, per farlo calmare? Un giorno la coordinatrice del piano che l’uomo cercava non c’era e lui, vedendomi in lontananza, mi ha sorriso. A volte la giusta empatia è un buon punto di partenza per instaurare una fiducia reciproca. Ed effettivamente poi il suo comportamento è cambiato. È importante instaurarlo anche con i familiari: quando capiscono che i loro cari sono in buone mani, allora si addolciscono».
Marta Gasparon