Uno studio coordinato dall’Università Ca’ Foscari Venezia ha identificato autentici grani di amido recuperati da macine del Paleolitico superiore.
Il risultato è stato raggiunto integrando l’imaging convenzionale basato sulla microscopia ottica con la microscopia elettronica a scansione e la profilazione chimica ad alta risoluzione spaziale che sfrutta la brillanza della radiazione infrarossa di Elettra Sincrotrone Trieste. I risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista scientifica Scientific Reports.
Gli Homo sapiens che si aggiravano nella steppa pontica (un’area che si estende dalla Romania al Kazakistan), già abitata dai Neanderthal, si dedicavano anche alla raccolta di piante ricche di amido.
Gli archeologi hanno ipotizzato che Homo sapiens fosse in grado di macinare rizomi, tuberi e semi, trasformandoli in una specie di farina. Evidenza di queste attività sono le tracce d’uso presenti sulla superficie degli strumenti litici e i residui come i granuli di amido. Il loro studio, che ci può fornire preziose informazioni sulla dieta del nostro passato, è però oggetto di un acceso dibattito. Non mancano infatti le controversie legate alla potenziale contaminazione dei reperti studiati.
“Il nostro studio affronta il problema della genuinità degli amidi rinvenuti in contesti archeologici, andando a caratterizzare la natura chimica di ogni singolo granulo”, afferma Giovanni Birarda, ricercatore della linea di luce SISSI-Bio di Elettra. I risultati includono una “strategia analitica che permette di identificare il loro invecchiamento, che può essere tracciato e caratterizzato”, afferma Lisa Vaccari, responsabile della linea di luce SISSI-Bio di Elettra.
La ricerca risponde dunque ai diversi interrogativi in merito all’autenticità e antichità dei granuli di amido campionati da semplici ciottoli intenzionalmente utilizzati come utensili, provenienti da tre siti del Paleolitico superiore: Kostenki 14-Markina-Gora un accampamento all’aperto sulle rive del fiume Don, dove Homo sapiens è presente almeno a partire da 36.000 anni fa, Surein I, un riparo sotto roccia nella penisola di Crimea, e Brînzeni I, una grotta in Moldavia che ha restituito la più grande collezione di ciottoli tra le industrie litiche oggetto di studio.
Questi siti sono stati scavati diversi anni fa e i ciottoli rinvenuti, conservati in ambienti museali, potrebbero essere stati esposti a potenziali contaminazioni. Laura Longo e Natalia Skakun, dell’Institute for the History of Material Culture di San Pietroburgo, erano ben consapevoli di questo problema quando si sono cimentate in questa impresa circa cinque anni fa. “Una delle sfide principali affrontate dalla nostra ricerca è quella di utilizzare/adattare strategie di campionamento che siano adeguate alle diverse necessità di analisi applicate ai materiali archeologici. Queste pietre sottoposte ad un robusto e consistente approccio analitico hanno rivelato la loro biografia e il loro originale utilizzo. Ciò le rende delle fonti di informazione preziose e il loro studio può permettere di svelare antiche procedure per la preparazione di sfarinati contenenti amido”, sottolinea Laura Longo, archeologa dell’Università Ca’ Foscari Venezia e già curatrice museale.
“I singoli granuli di amido sono stati dapprima individuati sulla base della loro morfologia mediante microscopia, e quindi chimicamente caratterizzati grazie alla spettroscopia infrarossa con luce di sincrotrone. Senza questa sequenza di analisi non sarebbe stato possibile raggiungere questi risultati”, afferma Elena Badetti, ricercatrice di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali all’Università Ca’ Foscari Venezia, “che sono ulteriormente supportati dalla presenza di tracce d’uso sulle pietre studiate, compatibili con il loro impiego nella lavorazione meccanica di piante ricche di amido”.
Le piante ricche di amido fungono da fonte di cibo calorico e contribuiscono a soddisfare il costo energetico necessario per mantenere l’omeostasi. “Ciò diventa particolarmente rilevante quando si considera l’Homo sapiens, una specie di origine tropicale, che colonizza nuovi territori come la freddissima steppa, circa 40.000 anni fa. L’identificazione degli amidi e la loro possibile presenza nella dieta dei paleolitici permette di ipotizzare diversi scenari alimentari per i primi colonizzatori dei territori boreali. I nostri risultati suggeriscono che le piante ricche di amido potrebbero aver avuto un ruolo vitale per la loro sopravvivenza anche in condizioni climatiche difficili”, conclude Laura Longo.
I risultati di questa ricerca abbracciano trasversalmente le discipline umanistiche e la scienza di base, come testimoniato dal gruppo eterogeneo di ricercatori che l’ha condotto, collaborando in un contesto internazionale e multidisciplinare.