Donare sangue e plasma significa per lei, miranese, anche affrontare un viaggio fino al Centro trasfusionale della città d’acqua. «Ne vale la pena», assicura Michela Nardin, classe 1961, che in settembre raggiungerà il traguardo delle 218 donazioni. Dal 1995 ad oggi.
«Potrei recarmi all’ospedale di Mirano – continua – ma il Centro dell’Avis comunale di Venezia è per me come una seconda famiglia, dove medici e infermieri ti fanno sentire a casa e dove cortesia e rispetto, insieme ad un sorriso, ti accompagnano. Donare è un gesto in cui credo fermamente: consente di aiutare chi ha bisogno, come nel caso dei talassemici, che necessitano di frequenti trasfusioni. Non avendo avuto figli, è bello sapere di poter trasmettere amore ad altre persone. E magari proprio anche ai bambini».
Sposata ed operaia tessile di professione, Michela racconta come tutto sia iniziato quando, nel gennaio del ‘95, si è recata a Venezia per la tipizzazione del midollo osseo (che consente di registrare i possibili donatori in un registro internazionale), «poiché sentivo il bisogno di sentirmi utile per qualcuno, in qualche modo». La donna, che è diventata anche donatrice di organi, ha così deciso di dare inizio ad un solido sodalizio con l’Avis veneziana, riuscendo a coinvolgere anche i suoi due nipoti ventenni. Nelle quasi 218 donazioni da lei raggiunte, sono comprese quelle di sangue, plasma e piastrine, ma l’impegno con l’associazione – della quale Michela è oggi consigliera – non si ferma, arrivando ad abbracciare pure l’ambito della promozione al dono. Soprattutto tra i giovani.
«Per far capire loro che non bisogna essere intimoriti dall’ago, quanto piuttosto pensare alle persone che riceveranno il nostro sangue». Le stesse che l’hanno commossa in occasione di un’assemblea associativa, quando alcune testimonianze condivise, anche di bambini talassemici, «hanno permesso di toccare con mano a chi doniamo realmente», continua Michela, che spiega come dopo i 60 anni non possa più donare con la stessa frequenza di prima. «In quel momento è come se mi fossi sentita di colpo vecchia, inutile. Ma non è così. Ogni tre mesi continuo a donare plasma, alternandolo ad un prelievo di sangue. Dall’inizio di quest’anno? Sono stata al Centro trasfusionale quattro volte».
Tra i ricordi, lo sguardo di quegli anziani incontrati un tempo nella sala d’attesa della vecchia sede. «Mi colpiva vedere la sofferenza nei loro sguardi, mentre aspettavano di capire se quel giorno avrebbero potuto o meno sottoporsi ad una trasfusione, in base ai gruppi sanguigni disponibili». (M.G.)