Il 2017 è l’anno del centesimo anniversario dell’“invenzione” di Marghera. Fu infatti nel 1917 che si decise di costruire sul margine della laguna veneziana il complesso civile e industriale che oggi chiamiamo così.
È evidente che un anniversario del genere non si poteva lasciar passare e – come sempre in Italia – si è costituito un Comitato ufficiale che ha organizzato una serie di eventi per festeggiare l’avvenimento.
Ho scorso con attenzione il calendario delle manifestazioni: un colto e congruo assemblaggio di iniziative che affrontano vicende sindacali, evidenze urbanistiche, problematiche ambientali. Tutto giusto – certo – ma mi sembra che manchi qualcosa. Ed è qualcosa che, per me, è molto più importante.
Cento anni di storia di Marghera non sono solo il racconto di lotte tra padronato e classe operaia, non si manifestano esclusivamente nella creatività di chi ha saputo inventare una città-giardino a cinquecento metri dalle fabbriche, non possono solo contemplare con orrore le emergenze ecologiche che il disinteresse per la natura ha creato attorno alla città.
Per me i cento anni di Marghera sono, soprattutto, la storia di un popolo. Un popolo che ha sentito Marghera come la sua casa comune, che ha condiviso una laboriosa generosità ed un forte istinto di collaborazione, che ha lottato perché la città diventasse più bella, più vivibile, più umana.
Persone che hanno saputo ideare centri di aggregazione che hanno avviato e alimentato l’incontro, la condivisione, la tenace rete di relazioni che hanno fatto del quartiere una città vera piuttosto che un anonimo dormitorio. Gente che ha donato a Venezia idee, iniziative, protagonisti spesso mai visti prima. Un popolo che puoi certo riconoscere dalla “erre” arrotata, ma soprattutto dalla grande voglia di mettersi in gioco, in un dialogo a volte scontroso, teso, ma sempre aperto e vitale.
Ecco: io sono fermamente convinto che Marghera non è il terreno su cui è edificata casa mia, ma le persone che vedo per strada, quelle che mi fanno arrabbiare o commuovere quando vado in giro per il mio quartiere. Un popolo – però – che riesco ad intravvedere con difficoltà dietro le belle iniziative ufficiali che celebrano i cento anni della città.
È significativo che, con la fine delle grandi visioni ideologiche, soltanto la Chiesa continui a parlare di “popolo” (e i numeri dal 9 al 17 del documento conciliare Lumen Gentium sono lì a dimostrarlo): solo la comunità cristiana mette ancora al centro del suo credere un vero soggetto sociale, il “popolo di Dio”, protagonista collettivo della medesima fede in un Padre comune e centro di imputazione di una missione salvifica condivisa.
Ed è altrettanto significativo che – la mattina di domenica 1° ottobre 2017, in Piazza Mercato – sarà proprio la Chiesa a convocare tutto il popolo di Marghera per celebrare il “suo” compleanno; a riunire la gente – insieme al Patriarca e alle comunità cristiane – per ribadire che, dopo cento anni, è ancora bello lavorare assieme, si può ancora sperare in un vivere diverso, è sempre giusto far credito al futuro.
Radunati per festeggiare non le cose, ma le persone. Noi: gli uomini e le donne di Marghera.
Gigi Malavolta