Quando in tivù passa lo spot dell’otto per mille alla Chiesa cattolica, il web influencer don Mariano Diotto si chiede perché non ci sia mai un “prete digital” a rappresentarla: «Si racconta una storia bella, ma che è già presente nell’immaginario italiano. Dove sono i preti che si impegnano anche nell’ambito web? Vanno bene quelli di frontiera, delle missioni o che sorreggono gli anziani. Ma anche con questo mezzo si può e si deve evangelizzare arrivando a milioni di persone».
Soprattutto ragazzi: quelli che lui segue quotidianamente a capo del dipartimento di comunicazione dello Iusve. «Ciò che manca alla Chiesa è la strategia social. In questo momento ha bisogno di comunicare in ambito digital. Perché i giovani ne hanno ancora un’idea stereotipata» sostiene il docente universitario che nei tanti corsi e seminari in giro per lo stivale stupisce tutti quando svela la sua identità di sacerdote salesiano.
«Perché c’è l’idea che la Chiesa sia distante da questo mondo tecnologico. In realtà quella istituzionale è presente sì nel web, ma nel modo che le è proprio: formale. Ed è giusto che sia così: non può permettersi di avere uno sbrodolamento comunicativo. Ma c’è bisogno comunque di una strategia più social. I giovani non sono solo su twitter – ci riflette su il sacerdote 45enne, alludendo all’account ufficiale del Papa da quaranta milioni di seguaci – sono anche su Instagram, Facebook, ecc. Ci vorrebbero persone preparate a seguire tutti gli ambiti. Per il resto, non esistono ancora realtà strutturate della Chiesa sul web. Anche se la maggior parte delle parrocchie e degli oratori cercano di creare il proprio sito internet. Certamente è un primo step, ma non basta. E molte volte finisce per essere abbandonato».
Il web, assicura l’uomo di Dio e top influencer, è come il pulpito: «Il messaggio è lo stesso, cambia il linguaggio. Si può fornire una linea di condotta morale e annunciare il Vangelo anche attraverso questo pulpito diverso, che si rivolge a una comunità diversa, molto più vasta. Chiede però un linguaggio proprio e un tempo da dedicarci, perché se apro un account e poi lo trascuro non serve a niente».
E se un po’ di formazione social spuntasse nei seminari non farebbe male, a detta dell’esperto: «Il fatto di poter raccontare la propria esperienza sacerdotale e di Chiesa via web è importante. Ed è bene – propone il professore dello Iusve – che questo si impari già dal seminario».
E su piattaforme social create apposta per connettere i fedeli (è il caso di deospace.com, l’alter ego cattolico di Facebook nato nel 2014), don Mariano approva con riserva: «Giusto che il mondo religioso crei nuovi contenitori, ma soffermarsi solo su questi elimina il dialogo: è come essere tutti nella stessa stanza e pensarla tutti allo stesso modo. Io credo più nel dialogo aperto. Bene che il parroco frequenti questo luogo ecclesiale, ma deve anche mettere piede nella realtà esterna, allontanandosi dall’autoreferenzialità, entrare in posti social dove si può essere anche contestati, ma che raggiungono tutti».
Giulia Busetto