Sono in crescita i disturbi gravi del comportamento alimentare, in particolare quelli che richiedono un ricovero in ospedale: all’Ospedale Civile di Venezia nel 2019 erano stati registrati 9 ricoveri, saliti l’anno scorso a 22; e già in questa prima metà scarsa dell’anno 2023 le persone ricoverate sono state 10, a conferma di un trend ascendente. In tutto questo c’è lo “zampino” del Covid, oltre a una varietà di altre cause che stanno via via emergendo.
Lo rileva Luca Ecclesio Livio, direttore dell’Unità complessa di Pediatria dell’Ospedale Civile di Venezia: nel suo reparto è stato centralizzato il lavoro di cura dei casi più gravi, provenienti da tutto il territorio dell’Ulss 3. Pressoché tutti i casi riguardano il sesso femminile: si tratta di ragazze prevalentemente tra i dodici e i sedici anni. In buona misura siamo di fronte alla generazione che ha maggiormente patito la pandemia: «Il periodo Covid – spiega il primario – ha portato problemi di perdita della socialità e ha limitato la comunicazione quasi al solo strumento di internet, con la conseguenza di non aver più rapporti reali con le altre persone. Per cui chi aveva già problemi ha riversato queste difficoltà nel comportamento alimentare». L’anoressia, in particolare, ha visto un incremento rilevante di casi, che ancora oggi si manifestano, benché il tempo terribile del Coronavirus sia alle spalle: «Ma in realtà – prosegue Livio – fa danni che si manifestano anche a lungo andare, perché i ragazzi per due anni non hanno avuto alcun tipo di socialità. Temo che vedremo gli effetti del Covid a proposito dei disturbi alimentari ancora per una decina di anni».
L’assistenza ai casi più severi è al Civile di Venezia. Da tempo, per far fronte a questo ambito di problemi, l’azienda sanitaria ha deciso di centralizzare al Civile l’assistenza ai casi più severi, per cui ha disposto l’allestimento di tre posti letto nel reparto di Pediatria. E Luca Ecclesio Livio, che lo dirige dal 2017, ha una particolare competenza a riguardo: dopo aver fatto la specialità a Milano e in Inghilterra, si è occupato di malnutrizione grave nei Paesi in via di sviluppo: Cambogia, Sudan, Sierra Leone e Afghanistan. A Venezia il primario ha messo in piedi un’équipe di intervento multidisciplinare: ne fanno parte una psicoterapeuta, un nutrizionista e ovviamente i medici del reparto: «Sono fondamentali – continua il dott. Livio – così come gli infermieri e gli operatori sanitari: il pasto assistito, per esempio, è una parte basilare della terapia». D’altronde, la presenza di più competenze professionali aiuta anche a riconoscere le radici di certi disturbi: «Quasi mai si tratta infatti di una patologia “pura”; il più delle volte sono presenti molte comorbilità, a partire da patologie depressive per andare ad altre patologie di tipo neuropsichiatrico».
Il disturbo alimentare è solo l’esito finale. Non c’è una causa prevalente o emergente, chiarisce il primario di Pediatria, ma c’è una varietà crescente di concause: «L’esito finale è il disturbo alimentare, ma scavando ti accorgi che ci sono tanti altri motivi: per questo è fondamentale il supporto psichiatrico oltre a quello di altri operatori». Inoltre c’è da far fronte ad un fenomeno nuovo e preoccupante: «Dall’inizio di questa attività e fino al 2022 una grossa percentuale di pazienti erano già noti sul territorio; quest’anno, invece, su 10 ricoveri già avuti, 6 sono arrivati direttamente dal pronto soccorso, superando tutti i filtri che dovrebbero esserci, a partire da scuola, pediatri di base e medici di famiglia. Tutti i pazienti riferiscono di una patologia improvvisa».
Recupero del peso in meno tempo. E che cosa ha tentato di fare – di nuovo e diverso – il reparto del Civile? Innanzitutto, appunto, l’introduzione di un lavoro a rete condotto da più professionisti: «Perché il nostro deve essere un intervento veloce, della durata di uno o al massimo due mesi: il posto migliore in cui possono essere curate queste ragazze, infatti, non è l’ospedale, ma il territorio. Non possiamo tenere ricoverate queste ragazze per mesi e mesi: all’inizio i ricoveri duravano tre-quattro mesi, quelli attuali consentono di raggiungere in metà tempo gli stessi risultati dal punto di vista del recupero del peso e di alcune funzionalità». E alla fine la guarigione è completa? Il primario Livio fa cenno di no: «È una patologia da cui non si può guarire in modo completo. Si arriva ad una guarigione che consente di affrontare di nuovo una vita normale, ma ci sono pericoli di ricaduta e nessuno potrà mai garantire il risultato finale. Però abbiamo notato che con una rete crescente di competenze in fase terapeutica i risultati sono migliori».
Giorgio Malavasi