Qual è il più grande capitale che ha un agricoltore? Il suolo che coltiva. Ma se il suolo si impoverisce, il capitale delle aziende agricole – anche in termini economici – si depaupera. Per questo, specialmente in tempi di cambiamenti climatici, occorre avviare una rivoluzione: quella della rigenerazione del suolo.
È la filosofia di fondo che sta prendendo piede anche in Veneto, grazie alla promozione che ne fa un’istituzione pubblica come Veneto Agricoltura ma anche grazie ad aziende private – è il caso di Purina, Cereal Docks e Serena & Manente – che ne sostengono la diffusione.
L’idea di fondo è che sfruttando per anni il terreno con colture intensive, uso di concimi chimici, diserbanti e insetticidi, alla fine si avrà sempre di più un substrato povero di sostanza organica e di microorganismi, che perde perciò via via produttività e redditività.
In sostanza si depaupera il capitale, il tesoro dell’azienda agricola. Quindi bisogna cambiare metodo. E perciò, punto primo: introdurre la copertura continua dei suoli. In genere finora, terminata la coltivazione del mais o del frumento o della soia…, il terreno veniva lasciato libero e spoglio fino alla coltivazione successiva. L’agricoltura rigenerativa propone invece di alternare la coltivazione da reddito con quella di copertura, che non produce subito ricavi ma in realtà li garantisce per il futuro.
Si tratta di seminare un mix di graminacee, leguminose e brassicacee: un “praticello” che rigenera la fertilità grazie alla fotosintesi. In sostanza questo mix di piante assorbe carbonio, apporta azoto, trattiene l’acqua grazie alle radici e crea così le condizioni per una maggiore biodiversità. La logica è quella di aumentare la complessità per evitare il “deserto”. Quando questa complessità non c’è, nei mesi invernali in cui la terra viene lasciata “nuda”, la sostanza organica si dilava e riduce. Di conseguenza, prima di coltivare di nuovo bisogna apportare notevoli e costose quantità di nutrienti.
Ma la copertura continua è solo una delle tecniche introdotte: sempre pensando ai terreni si consiglia di non invertire gli strati, cioè di arare il meno possibile, limitando l’azione a un sommovimento dello strato inferiore.
Si suggerisce poi di mantenere l’antica e saggia pratica di alternare le colture, ma anche di introdurre l’irrigazione di precisione per ridurre la quantità di acqua necessaria, di usare letami e compost invece di fertilizzanti di sintesi…
Fra chi sostiene questa “rivoluzione” in agricoltura, all’insegna della sostenibilità, c’è Purina, azienda più che centenaria specializzata in realtà nella produzione di cibo per cani e gatti. «Lo facciamo – spiegano in azienda – perché a Portogruaro abbiamo uno stabilimento, che è uno dei nostri più importanti a livello europeo, e ci teniamo a far sì che il territorio veneto venga ripagato della relazione che abbiamo instaurato». A Portogruaro, ogni anno, vengono prodotte circa 140mila tonnellate di cibo per animali, «e anche il controllo delle catene di approvvigionamento, con obiettivi di qualità e sostenibilità, è per noi importante».
Al momento Purina collabora con nove aziende agricole del settore vitivinicolo, che producono uve da vino su 950 ettari, nell’ambito del Consorzio Prosecco doc. In questi casi si tratta anche di alternare i filari con siepi o di seminare più specie di erbe e piante da fiore, così da aiutare gli insetti impollinatori.
Ma qual è la reazione degli imprenditori agricoli dinanzi alla nuova metodologia? «Collaborativa, nella consapevolezza che se non ci muoviamo adesso nell’avviare certe azioni, arriveremo ad un punto in cui forse sarà troppo tardi. Perciò si riconosce che la fatica della novità e l’investimento iniziale, anche in termini di risorse economiche, produrrà nel medio e lungo periodo un nuovo equilibrio e quindi maggiori produttività e redditività».
Giorgio Malavasi