È un po’ come aver a che fare con una caldaia: se la si riempie di carbone piena zeppa, produrrà tanto fumo, sporcherà molto e avrà presto bisogno di manutenzione; se invece la si alimenterà moderatamente e regolarmente, funzionerà meglio, smaltirà meglio i fumi e si romperà molto più avanti.
Come quella caldaia è il nostro organismo. Anche per quella condizione tipica della terza età che è l’inflammaging – l’infiammazione cronica dei muscoli, in assenza di infezioni – la soluzione è moderare il cibo, scegliere quello giusto (la dieta mediterranea), fare attività fisica e coltivare una serena passione per la vita (vedi l’altro articolo in questa pagina).
Si potrà così diventare più vecchi stando bene. E anche il nostro corredo genetico ringrazierà: lo sottolinea Mosè Favarato, direttore dell’unità operativa di genetica e citogenetica dell’Ulss 3 veneziana.
La “caldaia”, spiega Favarato, sono i mitocondri all’interno della cellula: è in essi che – in ultima analisi – il cibo si trasforma in energia. Quando c’è troppo “carbone”, cioè quando mangiamo troppo e male, aumentano i “fumi”, cioè i rifiuti. Così si formano i radicali liberi, ovvero le molecole che tendono a causare alterazioni nel dna delle nostre cellule.
La sovrapproduzione di radicali liberi, chiarisce ancora il dott. Favarato, «causa uno stato latente, sottodimensionato di infiammazione che gli anziani spesso hanno: è l’inflammaging, cioè lo stato di infiammazione cronica tipico dell’invecchiamento e che accelera l’invecchiamento stesso conducendo alla sarcopenia, la perdita di capacità di tono muscolare frequente nella degenerazione senile».
L’infiammazione, in effetti, è una difesa dell’organismo: serve a combattere microbi nocivi e virus e a ripararne i danni; ma quando i microbi sono stati sconfitti e i tessuti riparati, è bene che l’infiammazione si spenga. L’inflammaging, al contrario, è come se ci obbligasse a continuare a combattere quando la guerra è finita; ha effetti nocivi sulla salute – ha un ruolo nelle malattie cardiovascolari, nell’insufficienza renale cronica, nel diabete, nell’aterosclerosi, nel cancro, nelle demenze senili… – ed è alla base della fragilità degli anziani.
Come ovviare? «Mangiando bene – risponde il genetista – cioè facendo ricorso ad una alimentazione regolare e ipocalorica. E anche alcuni integratori, come alimenti ricchi di antiossidanti e di complessi vitaminici del gruppo B, acido folico e vitamina B12 aiutano a combattere. Il tutto, certo, senza esagerare».
Il modello che si avvicina di più a questo tipo di alimentazione è quello rappresentato dalla dieta mediterranea, incentrata su cereali, legumi, verdura, frutta, semi e olio di oliva, con uso raro di carni rosse e grassi animali e moderato di pesce, carne bianca (pollame), latticini, vino e dolci.
La dieta mediterranea, secondo gli studiosi, aumenta infatti la biodiversità dei microbi intestinali e favorisce la presenza di quelli che digeriscono le fibre vegetali producendo sostanze antinfiammatorie.
L’attività fisica, prosegue il genetista dell’Ulss 3, è poi il complemento di una buona alimentazione, nonché il toccasana: il muscolo in attività stimola la continua produzione di certi ormoni, che garantiscono un rinnovamento cellulare adeguato, con il risultato che non si stoppa ma si rallenta l’invecchiamento.
«Diversi studi – conclude il dott. Mosè Favarato – hanno mostrato che la sottrazione di radicali liberi e l’uso di antiossidanti porta a maggiore longevità. E associare una genetica predisponente – che comunque conta per un 20-25% dell’esito finale – ad uno stile di vita corretto e sano dal punto di vista alimentare e dell’attività fisica, sicuramente aiuta al rallentamento di alcune patologie e al mancato sviluppo di altre».
Giorgio Malavasi