Caviamoci dalla testa che per il problema della plastica ci sia “la” soluzione. Neppure quella “bio” lo è: ci vogliono comunque tempi lunghi perché si decomponga e intanto comunque inquina; e se poi ci si sbaglia e la si butta insieme alla plastica “non bio” si creano problemi e ulteriori cause di inquinamento.
Bisogna agire su tantissimi versanti, dice uno che del tema si occupa ogni giorno: Giorgio Bagordo, coordinatore del programma Plastic Smart Cities di Wwf Italia, che farà il punto della situazione – nel mondo, nel nostro Paese e nel Veneziano – giovedì 13 aprile alle ore 18.30, in Casa Charles de Foucauld, sede dei Volontari Terzo Mondo Magis, in via Monte Grappa 27. Nell’occasione Bagordo dialogherà con Andrea Razzini, direttore generale di Veritas.
«Con le aziende bisogna toccare i tasti giusti». La prima mossa, per ridurre l’impatto della plastica nell’ambiente, è produrne di meno: «Ma in Italia come altrove – rileva Bagordo – a parte una leggera flessione negli anni del Covid, la produzione di materiali plastici, destinati soprattutto agli imballaggi, è in crescita. Per questo il Wwf sta lavorando anche con le aziende produttrici». Per ridurre gli imballaggi? Per farli di materiali più ecologici? Per facilitare il passaggio da prodotto a rifiuto conferito correttamente?
Per tutto questo e altro ancora, sottolinea Giorgio Bagordo: «Lo scopo delle aziende non è ridurre l’inquinamento, ma realizzare e vendere prodotti. Perciò le aziende sono sensibili, ma se si toccano i tasti giusti. Più il cliente è consapevole del fatto che l’ambiente va difeso, più le imprese agiscono di conseguenza. Mi è capitato di recente che un’azienda abbia deciso di sostituire il vecchio contenitore del suo prodotto, fatto in plastica “ordinaria”, con uno in materiale biodegradabile, con la differenza che il primo era bianco mentre il secondo verdino. È stata fatta un’indagine di mercato ed è risultato che il verdino non piaceva e non accresceva le vendite. Ecco, serve una grande azione di comunicazione per aumentare ancora la sensibilità e la consapevolezza della gente, affinché preferisca anche al supermercato i prodotti con minore impatto ambientale e induca così chi li realizza a fare scelte conseguenti. Poi, certo, aiutano anche le leggi, che stanno cambiando e che danno un’indicazione precisa».
Le etichette “ponzio pilato”. Dinanzi alle aziende e anche alle leggi stanno anche tante altre sfide: per esempio quella di eliminare le etichette “ponzio pilato” dei prodotti.
Sono quelle etichette per cui non si capisce come bisogna comportarsi quando quel certo imballaggio finisce di svolgere il suo servizio e va buttato. Quando si cercano lumi va a spesso a finire che si legge una frase del genere: per sapere dove gettare correttamente questo oggetto consultate il vostro Comune di residenza.
Insomma: c’è chi se ne lava le mani… Questo perché di territorio in territorio cambiano le modalità e le regole per la gestione dei rifiuti. «C’è una questione rilevante che riguarda le etichette – conferma l’esperto del Wwf – e il nostro obiettivo è quello di stimolare affinché le informazioni diventino più chiare possibile. L’idea è che l’utente finale possa sapere con uno sguardo di che materiale è fatto quel certo oggetto e dove va conferito quando diventa rifiuto».
Anche un’altra mossa, quella di sostenere la pratica del riuso invece di buttare un oggetto dopo uno o pochi usi, è importante ma ha un esito non scontato. Giorgio Bagordo dà l’esempio: per la festa di compleanno di suo figlio lui e la moglie hanno scelto bicchieri e piatti da lavare e perciò riusabili: «E tutti hanno apprezzato», assicura, anche se poi qualcuno ha dovuto lavare.
La questione dei prodotti “furbi”… Certo, è solo un piccolo esempio della quotidianità, in mezzo a mille altri esempi simili, che tra l’altro hanno portato il legislatore a vietare l’uso di plastiche monouso. Ma anche qui i distinguo sono tanti e basta un nulla per cambiare le cose…: avete presente i bicchieri di carta – e perciò biodegradabili – che all’interno hanno un sottilissimo rivestimento plastico per renderli impermeabili? Beh, quelli sono un prodotto “furbo”, che va in deroga alla norma europea e dinanzi a cui l’Europa ha storto il naso, chiedendo all’Italia di evitare deroghe e di fare le cose bio al 100%. Vedremo…
Sta di fatto, sintetizza Giorgio Bagordo, che sarà solo un insieme molto articolato e complesso di idee e di azioni a farci fare qualche passo avanti. Altrimenti la plastica – che in sé non è cattiva – continuerà a fare danni…
Giorgio Malavasi