80 anni fa morivano Erminio Bolpin e i soldati della Acqui
Carlo è nato il 20 settembre 1943, due giorni prima che il papà Erminio Bolpin venisse ucciso dai nazisti, insieme a tremila soldati italiani della Divisione Acqui: «Lui non ha mai saputo della mia nascita».
E Carlo, la mamma e i familiari hanno fatto di tutto per ricostruire quella tragica vicenda, di cui quest’anno ricorrono gli ottant’anni, per dare sostanza alla memoria familiare e per tramandare i valori legati al loro congiunto e alla sua dolorosa vicenda, oltre alla condanna dei disvalori che portarono a quel massacro.
È l’eccidio di Cefalonia e Corfù. In seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, tra il 14 e il 22 settembre la guarnigione italiana si oppose al disarmo che i tedeschi volevano imporre, ma le forze erano impari, gli alleati non intervennero per dare una mano e il momento era confuso. I nazisti uccisero, appunto, circa tremila militari in combattimento; poi ammazzarono altri cinquemila superstiti, costretti alla resa.
«Mio papà Erminio Bolpin, nato nel 1917 a Venezia – afferma Carlo, presidente dell’associazione Divisione Acqui Sezione di Venezia e Padova – fu prima mandato a Merano per l’addestramento e successivamente a Cefalonia e Corfù. Lì era diventato caporal maggiore ma essendo in isole pacifiche non ha mai dovuto combattere».
Le notizie riguardo la sua morte non sono certe, in quanto la vicenda fu raccontata in molte versioni, ma secondo il cappellano militare che ha fatto delle ricerche sui caduti, sembra che sia caduto il 22 settembre. In quei momenti non sapevano che la battaglia era finita e, scendendo dalla montagna per raggiungere il comando, vennero fucilati dai tedeschi sul campo.
«Io sono nato pochi giorni prima della sua morte, il 20 settembre – continua Carlo – quindi lui non ha mai saputo della mia nascita. Mia mamma e i miei zii hanno fatto ricerche telefonando ai soldati superstiti e mettendo annunci sul Gazzettino, ma non c’è stato niente da fare. Mia mamma, Maria Giubelli, è morta a 90 anni: per una vita ha aspettato il suo ritorno a casa».
L’associazione Nazionale Divisione Acqui nasce subito dopo la vicenda. I reduci e i familiari dei caduti della Divisione vogliono mantenere la memoria attraverso la vita dell’associazione stessa e oggi intendono tramandarne la gestione a figli e nipoti. Si lavora a un arricchimento con interviste ai testimoni e ai loro eredi e le ricerche conducono a nuove scoperte per inquadrare la vicenda storicamente. Ma non solo. Per capire le condizioni e i sentimenti che portarono i soldati a non cedere le armi ai tedeschi, si sta svolgendo una indagine sulle lettere scritte dai militari.
Quel che si sa è che nonostante un’educazione fascista fin dai primi anni di vita, i soldati italiani decisero, dopo l’8 settembre, di rifiutare un’ideologia di guerra per sceglierne una pacifica. Probabilmente operando a lungo in un’isola pacifica le loro idee di gioventù furono smontate. Da un’educazione imposta presero in mano la loro coscienza.
Per gli ottant’anni dalla tragica vicenda si stanno organizzando importanti eventi nazionali e internazionali. A livello nazionale, per esempio, ci sarà un collegamento video tra Edith Bruck, testimone ebrea della Shoah, e una cinquantina di scuole. Inoltre, si sta svolgendo una ricerca sui prigionieri dell’Acqui mandati nei lager. «Questa è una pagina poco ricordata – rileva Carlo Bolpin – ma essi venivano trattati peggio rispetto agli altri prigionieri perché erano considerati traditori tedeschi. La percentuale dei morti dell’Acqui nei lager è maggiore rispetto agli altri soldati. Nella nostra sezione invece – conclude Carlo Bolpin – porteremo avanti questa attività di recupero delle lettere, possibilmente realizzando anche un video».
Ilaria Carrain
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