«Natale è camminare insieme a Dio e rispondere al suo invito: “Se vuoi…”. Natale è camminare con Lui e con gli altri riscoprendo il senso e il valore del “noi”». È la sintesi che il Patriarca fa del significato della festa imminente. E se il “noi” è la cifra di fondo, allora si aprono squarci di luce sugli errori del nostro tempo ma anche sulla speranza che pur sempre accompagna l’umanità.
Mons. Moraglia offre la sua riflessione a chi è convenuto in basilica di San Marco in occasione del concerto di Natale promosso come ogni anno dalla Procuratoria di San Marco e dalla Fondazione Fenice e che vede protagonisti la Cappella Marciana e la Schola Cantorum Basiliensis, diretti da Marco Gemmani, in un programma musicale dedicato a Claudio Merulo, con l’esecuzione di brani che ripropongono una liturgia natalizia così come si sarebbe potuta svolgere nel 1582 nella cattedrale veneziana.
«Ascolteremo – sottolinea il Patriarca – melodie che ci trasporteranno nel grande Mistero. Ascoltiamo ricordando che l’Incarnazione del Verbo, l’Emmanuele, il Dio-con-noi, è l’ineguagliabile poema d’amore che lega l’Eterno col tempo, è la Misericordia che ci viene incontro e l’appuntamento per tutto ciò ha un nome di donna: Maria».
È il “noi” che, nella Incarnazione, apre la nuova alleanza e «unisce soggetti differenti fra loro, antagonisti e, anche, ostili; oggi pensiamo ai fronti più caldi e belligeranti ma gli esempi potrebbero essere infiniti. Che dire, poi, delle relazioni familiari, lavorative, tra amici? Natale è la contestazione radicale di un mondo autoreferenziale che si pone come autocostruzione da parte dell’homo faber che vuole essere dio a sé stesso».
Nella luce del “noi” che prende corpo a Natale si coglie meglio l’errare della «tarda modernità che segna il “liquefarsi” della persona e il trionfo dell’individu» e che pensa «la verità non più intesa come criterio o fine ma come qualcosa che si costruisce (…) per cui la verità non è quello che conosciamo ma quello che facciamo e, quindi, non è qualcosa da ricercare e contemplare ma un’istruzione per intervenire».
Ed è inquietante, rimarca mons. Moraglia, che l’uomo pensi di essere il costruttore della verità. Ne possono derivare mostri: la guerra, per esempio…
Natale è il rifiuto di questa prospettiva: «È il rifiuto – esemplifica il Patriarca – del potere dell’uomo sull’uomo, ossia prendere le distanze dalla tecnoscienza che rivendica a sé il criterio etico; è contestare le inaccettabili concentrazioni finanziarie, è rifiutare il monopolio (esplicito o mascherato) dei grandi network che impongono la loro narrazione, anestetizzando la società e riducendo la democrazia a pura forma e calcolo numerico».
Si tratta, allora, se si vuole, di di recuperare il “noi” che c’è nell’evento della Natività. Ne può fare esperienza ciascuno di noi, in maniera semplice: «Anche quest’anno contempleremo il presepe; non importa quali saranno le sue dimensioni o se sarà o meno un’opera d’arte.
Conta, invece, il messaggio che ci dà o, meglio, che lasciamo ci dia. Dinanzi al presepe si sta con la propria storia, fatta di giudizi e di pregiudizi, di violenze subite o inflitte, di ricordi e nostalgie, di aspettative e speranze. Ogni storia, comunque, dinanzi al presepe, merita d’essere raccontata, anche la nostra».
In definitiva, conclude il Patriarca Francesco, «il Natale invita ad uscire da noi stessi perché solo nella relazione con l’Altro (Dio) e gli altri (gli uomini) ci ritroviamo, ci rinnoviamo, ci salviamo e, anzi, ci lasciamo salvare». (G.M.)