Sta per solcare il primo gradino – che porta al diaconato ed è, appunto, il “grado” iniziale dell’ordine sacro – e avverte che è «il più importante e significativo, perché ti fa compiere la prima fatica rispetto al terreno piano». Matteo Gabrieli, 34 anni, sarà ordinato diacono domani 5 novembre in San Marco alle ore 10. Con lui, nella solenne celebrazione eucaristica presieduta dal Patriarca Francesco, saranno ordinati diaconi anche l’altro seminarista Lorenzo Manzoni e i due frati cappuccini Fabio Burla e Luca Savoldelli.
Per Matteo – intervistato da Gente Veneta alla vigilia dell’ordinazione, questo è un gradino che procura sin d’ora tanta «emozione perché è arrivato il momento della definitività, del sì per sempre. Vedo in questi pochi giorni, arrivato in una nuova parrocchia, che mi accolgono non più da semplice seminarista – anche se l’ordinazione non è ancora avvenuta – e mi percepiscono già in modo diverso». Matteo Gabrieli ha 34 anni, è nato a Padova da famiglia veneziana e fino ai 10 anni ha vissuto a Scorzè prima di trasferirsi alla Giudecca dove ha abitato per una decina d’anni: «A Scorzè ho cominciato a conoscere la bellezza della fede, lì ci sono le origini della mia vocazione. E lì, a Dio piacendo, vorrei celebrare la mia prima Messa».
Aveva frequentato il Seminario minore, medie e liceo classico, ma prima di iniziare il percorso di Teologia si è tuffato per qualche anno in un’esperienza lavorativa da cameriere (al Gritti di Venezia) per poi rientrare in Seminario ormai ventisettenne: «E ringrazio il Signore che mi ha riportato qui di nuovo». Da seminarista Matteo è stato, forse, uno di quelli che ha girato di più la Diocesi facendo esperienza in tante realtà. Ha prestato servizio al Lido di Venezia (S. Ignazio, Malamocco e comunità pastorale) e lì «sono entrato per la prima volta in una pastorale parrocchiale molto viva che, sino a quel momento, non avevo sperimentato». E poi è passato nelle parrocchie veneziane di S. Nicolò dei Mendicoli e dell’Angelo Raffaele, a Dorsoduro, dove si sono creati bei legami e «so che c’è tanta gente che prega per me». Ma è stato anche a Caorle, Jesolo Lido, Gambarare, Mira e da pochi giorni a S. Pietro di Favaro.
Tra gli impegni che assumerà diventando diacono quale potrebbe essere il più difficile da portare avanti? «Per i tempi che corrono direi il celibato: investe tutta la vita e non è solo continenza sessuale, ma richiede un particolare rapporto con le cose e la propria fisicità. Diacono e sacerdote sono chiamati ad alternare momenti di solitudine ad altri in cui si ha a che fare con le persone, tutto da vivere sempre con serenità e sapendo che il grande Amico, quando termini la giornata e sei solo in canonica, è il Signore. Per sostenersi in questa fatica è molto importante la fraternità sacerdotale, l’amicizia con altri preti, poter condividere certi momenti come la preghiera o un pasto». Certo, aggiunge Matteo, «ogni impegno richiede fatica perché esige qualcosa da te, ma è innanzitutto un dono. Come quando uno ti regala una bicicletta…».
A proposito del Cammino sinodale la sua speranza è che aiuti davvero le comunità a “camminare insieme” aumentando, soprattutto nei laici, la corresponsabilità: «Ci sono realtà in cui le persone si danno molto da fare e sono generose, ma si mettono in gioco solo quando è il prete a prendere l’iniziativa o a dire quello che si deve fare… Mi piacerebbe vedere delle comunità che sanno camminare insieme, con i laici che si lasciano guidare dal prete e con il prete che è capace di camminare insieme, di affiancare le persone che gli sono affidate, di stare – come dice il Papa – davanti, in mezzo e dietro, come un fratello più grande». E lui, Matteo, percepisce che questo è il momento di «mettersi a servizio, con il desiderio di servire la Chiesa e le persone con lo stesso amore che ha avuto Gesù, come diacono oggi e nei prossimi mesi – se Dio vorrà – come presbitero. È una grande responsabilità e un grande dono».
Alessandro Polet