Che ius soli sia, perché in Italia nulla ha a che fare con quello puro statunitense. E se a dirlo è un’italo bengalese mestrina, fresca di diploma a pieni voti, forse la riforma sulla cittadinanza italiana e i suoi potenziali beneficiari hanno ancora qualcosa da raccontare prima del rinvio ufficiale della discussione in Senato.
Da undici anni in Italia.
«La cittadinanza è una responsabilità, prima ancora che un diritto. E questa legge lo tiene bene in conto, introducendo uno ius soli (diritto legato al territorio) che risulta però “temperato” (moderato)». Un’affermazione per nulla conveniente quella della diciannovenne bengalese, sbarcata in terra italiana dopo i suoi primi otto anni di vita passati a Khulna, nel Bangladesh. Tasnia Mollik, già mediatrice culturale e interprete proprio all’interno delle commissioni che nel Triveneto rilasciano il permesso di soggiorno, la cittadinanza italiana la attende ancora, desiderandola con tutta se stessa.
«Ma è giusto che non venga concessa in automatico – precisa la neo centina dei licei sperimentali Stefanini – perché si tratta di un dovere grande. Una volta presa, la persona ha la responsabilità di decidere quali saranno le forze politiche del Paese. Quindi è giusto che lo stato definisca delle regole chiare prima di rilasciare un’arma preziosa come la cittadinanza».
E nel caso di questa riforma, in stallo al Parlamento dal 2015, non si tratterebbe di una rivoluzione drastica del diritto di cittadinanza, come avviene in America (dove è sufficiente nascere in terra statunitense per diventarne cittadini) ma di una cittadinanza rilasciata nel caso in cui il bimbo nasca qui da un genitore europeo legalmente in Italia da almeno 5 anni. Se il genitore è immigrato e anche extracomunitario è necessario invece anche un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge e il superamento di un test d’italiano.
«Sarebbe giusto anche valutare di rilasciare la cittadinanza dopo un certo percorso di studio» aggiunge la giovane margherina arrivata qui dopo un ricongiungimento familiare. E in effetti la seconda strada per ottenere la cittadinanza, prevista dalla proposta di legge, è proprio l’introduzione dello ius culturae (diritto legato all’istruzione): rivolto ai minori stranieri nati in Italia, o arrivati entro i 12 anni, che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato le elementari o le medie; i ragazzi arrivati qui fra i 12 e i 18 anni dovrebbero invece abitare qui per almeno sei anni e superare un intero ciclo scolastico.
«Tutto quel che vi devo».
«Per me il diventare italiani comporta anche integrazione, padronanza della lingua e riconoscenza nei confronti di questo Paese»: Tasnia lo dice con orgoglio mentre attende il superamento della pratica burocratica che la farà presto italiana. «Devo al vostro Paese la mia indipendenza di donna» spiega la ragazza dalla lunga chioma liscia e corvina che da grande vuole fare la diplomatica. «Pur conservando i miei ricordi d’infanzia più belli e amorevoli lì, se fossi rimasta in Bangladesh non avrei potuto esprimere tutta la mia libertà di donna. In Italia ho scoperto i valori della tolleranza, dell’uguaglianza sociale, dei pari diritti di genere, della libertà politica, del rispetto delle minoranze religiose e delle diverse etnie».
Qui Tasnia ha ottenuto il suo riscatto umano e sociale: «Ed è una cosa che non cade dal cielo agli immigrati» sostiene la figlia di un operaio e di una cameriera diplomati in Bangladesh, ma che si sono accontentati di un lavoro più umile a Mestre per assicurare un futuro migliore ai due figli. «La cittadinanza va guadagnata con il rispetto profondo nei confronti di questo Paese, che ha deciso di accoglierci».
<+firma ct>Giulia Busetto