Il dialogo ci rende più umani e ci fa capire che nella gratuità c’è maggiore felicità. La tendenza del mondo è invece diversa: punta al tornaconto e all’individualismo. Ma lungo questa strada – più luccicante ma insidiosa – ci sono tanti scivoloni, trappole e baratri. Perciò il metodo del dialogo e la testimonianza dell’umanità sono l’alternativa da percorrere.
Lo sottolinea fra Lorenzo Raniero, francescano, da due anni preside dell’Istituto ecumenico San Bernardino di Venezia. Fra Raniero interverrà, insieme ad altri, sabato 24 settembre alle ore 9.30 in chiesa di Sant’Eliodoro ad Altino, nel confronto a più voci su “La grammatica del dialogo”, la prima delle iniziative promosse dal Gruppo diocesano Stili di vita in preparazione della XIX Festa del Creato.
Con il frate francescano si confronteranno padre Marcelo Barros, benedettino e teologo brasiliano, Michele Dotti, scrittore e formatore, e Carlo Bolpin di Esodo; coordinerà Giorgio Malavasi di GV.
Domenica 25, poi, alle ore 16.30, nella chiesa copta di Campalto, la recita del Vespro ecumenico, alla presenza dei rappresentanti di più Chiese cristiane presenti in Diocesi. Sabato 1° ottobre, infine, per la Festa del Creato, a partire dalle ore 14.30 ad Altino, si terrà un dialogo fra la pastora della Chiesa battista, Lidia Maggi, il docente di filosofia teoretica all’università di Macerata Roberto Mancini e il Patriarca Francesco. Al termine la presentazione del progetto sulle comunità energetiche, a cura di Gabriella Chiellino, presidente di eAmbiente, e una preghiera ecumenica.
Padre Raniero, anche nei giorni scorsi Papa Francesco ha rimarcato che nel dialogo c’è sempre la possibilità che si possano cambiare le cose in meglio, e che se non c’è dialogo c’è o ignoranza o guerra. Ma l’attitudine del mondo al dialogo è cambiata?
Da quando è stato proposto e lanciato come metodo da Paolo VI nell’enciclica programmatica “Ecclesiam suam”, scritta a conclusione del Concilio, il dialogo è sempre più considerato come ciò che tocca l’essenza costitutiva della persona. La mia impressione, però, è che in questi anni nel mondo sia stato avvelenato dall’utilitarismo, cioè che lo si sia trasformato in una sorta di tecnica, molto superficiale, volta a ottenere l’interesse di chi lo pratica. Si parla, si dialoga, ci si confronta, ma si fanno soprattutto i propri conti, si valutano vantaggi e svantaggi, ma sempre con finalità di produrre utile per il soggetto.
Quindi mai come adesso il tornaconto individuale è al centro anche del confronto fra le persone?
Mentre l’interessarsi alla persona è concetto profondamente cristiano, oggi si assiste ad una degenerazione della centralità della persona che proietta verso il narcisismo e l’individualismo. Per ciò è indispensabile tornare a riproporre il dialogo nella sua identità più umana e profonda. Bisogna capire che noi siamo dialogo, siamo fatti di dialogo, e cresciamo in un tessuto di relazioni, di parole e incontri fin da bambini; se non c’è una parola che viene rivolta a noi non cresciamo. Ho in mente quel versetto del salmo che per me è stato fulminante e che dice: “Signore, se non mi parli sono come un uomo che scende nella fossa”. La parola, cioè, è principio vitale per esistere.
Mettere al centro la persona senza farne né un idolo né un Narciso: come si fa a invertire la rotta?
Ci vuole tanta pazienza, ci vogliono tempi lunghi, la costanza e la perseveranza di rimanere dentro a una fatica, di crederci e non demoralizzarsi. Questo è l’atteggiamento di fondo. E poi annunciare il dialogo, proclamarlo, anche con incontri come quello di Altino, ma soprattutto occorre mostrarne il valore con una vita di dialogo. Noi come francescani avremmo qualcosa da dire, in questo senso, per il nostro stile di vita per il nostro stile di vita, per cui la fraternità è fondamentale e va a impastare e costituire i rapporti fra le persone ma anche tutte le nostre istituzioni.
Perseverare è fondamentale, ma una leva altrettanto importante, pensando a come ragiona il mondo, è riuscire a mostrare che il dialogo è conveniente. Cioè che non è solo idealità e utopia, ma serve per vivere meglio. È d’accordo?
Sì, per comunicare dobbiamo parlare avendo attenzione anche a come ragiona il mondo. Il mondo è sbilanciato sul tornaconto, per cui bisogna proporre un dialogo che abbia un risultato. Ma l’inganno è che il risultato sia un prodotto materiale, misurabile in termini economici. La bellezza del dialogo, invece, è nell’umanizzarci, nel farci più uomo e più donna: questo non si riesce a percepirlo nell’immediato e si fatica a dirlo per convincere. Dovremmo annunciarlo e dirlo soprattutto con la testimonianza della vita, per cui se uno vede una persona che vive in pieno la sua umanità si farà qualche domanda, tipo: ma perché costui vive così sereno, aldilà del suo tornaconto materiale?…
Nella Laudato si’ Papa Francesco usa 28 volte la parola dialogo, anche nel titolo di alcuni capitoli, a sottolinearne l’importanza come metodo fondamentale. Rispetto alla cura della Casa comune, come accrescere lo strumento del dialogo?
Innanzitutto credo che ci sia un dialogo fra l’uomo e il creato, cioè con tutto ciò che consideriamo non appartenga alla specie umana. Lo dico sulla scorta della mia tradizione francescana: mi ha sempre colpito che Francesco abbia chiamato il sole, la luna, le stelle, la pioggia e il vento con termini personalizzanti, “fratelli e sorelle”. Ma se questi elementi sono fratelli e sorelle, allora sono interlocutori di dialogo, cioè noi possiamo entrare in dialogo con loro. Per cui il primo approccio è rispettarli nella loro personalità creaturale. Questo porta al rispetto del creato alla stessa stregua del rispetto di una persona.
Anche perché se questi elementi vengono abusati e deteriorati, poi non ci sono più. Per cui se ne perde anche il vantaggio che ci portano…
È vero, ma c’è un aspetto che ci fa un po’ lo sgambetto: i vantaggi del dialogo – umanizzazione, una vita armoniosa, più serena, profondamente integrata e in armonia con quello che ci circonda – non sono immediati. Noi invece siamo malati di “tutto e subito” e quindi non sappiamo stare in questa attesa che è espressione di fiducia e di amore, perché chi sa aspettare vive la fede e l’amore. Ci facciamo prendere da questa smania del tutto e subito e passiamo subito allo sfruttamento per avere nell’immediato un tornaconto. Qui occorre una svolta.
Giorgio Malavasi