I dati lo attestano: la quinta ondata di Covid si sta riducendo. Ma solo un indovino potrebbe dire se tra un po’ ne arriverà una sesta e poi una settima… Però il dato buono di questi giorni è che di casi gravissimi – nell’Ulss 3 veneziana, ma non solo – ce ne sono stati pochi. Le terapie intensive hanno ospitato molti meno degenti rispetto al passato, mentre i reparti ordinari hanno avuto il loro notevole impegno: «Siamo a 140 pazienti ricoverati», precisava qualche giorno fa il direttore generale dell’azienda sanitaria veneziana, Edgardo Contato. E altre 25 persone sono ricoverate negli ospedali di comunità: «È un impatto significativo. È perché ci siamo abituati a questa situazione ma, facendo un confronto con la prima ondata, siamo ben oltre i numeri di allora.
Per giunta, nella nostra azienda abbiamo circa 200 operatori positivi, su 7mila totali, e una sessantina sospesi perché non si sono vaccinati: questo dice la difficoltà di organizzare il personale. Per fortuna, però, la terapia intensiva non è sotto pressione come due anni fa. Resta però che quando una persona entra in ospedale con il Covid le misure di tutela sono le stesse: un sanitario fa le sue otto ore bardato come un astronauta e i controlli dei pazienti sono alti». Sarà però per il fatto che i casi gravissimi sono diminuiti e che il virus attacca le respiratorie più alte ma non provoca quasi più polmoniti…: fatto sta che la percezione di pericolo grave si è allentata.
Anche le restrizioni si sono molto ridotte e la gente vive quasi come se la pandemia non ci fosse: atteggiamento corretto o sconsiderato? «Io penso – risponde Contato – che prima o poi con questo virus dovremo conviverci. Ma c’è un aspetto formale che va salvaguardato: abbiamo vissuto per due anni in uno stato di emergenza previsto per legge, con misure dovute a una pandemia dichiarata a livello internazionale dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Queste misure vanno garantite anche oggi, almeno finché non sarà l’Oms a decretare che è giunto il momento per passare dalla pandemia all’endemia, cioè alla dichiarazione di presenza stabile di questo virus nella popolazione. Ma finché una decisione generale non inquadrerà diversamente la malattia, noi dobbiamo rispettare e fare rispettare le regole che ci sono».
Giorgio Malavasi