Shanghai, si riapre quasi tutto: «Dal 1° giugno si può tornare a uscire quasi liberamente. Le barriere sono state tolte e si circola per il quartiere, anche se ci sono negozi aperti e altri no. Per muoversi bisogna però aver fatto un tampone con esito negativo entro le 72 ore precedenti. Per questo in città sono stati realizzati tanti punti in cui ci si può fermare per fare il test, gratuitamente».
Le ultime novità da Shanghai le riportano Erika e Angelo, coniugi italiani. Vicentina lei, della provincia di Macerata lui, sono anche fortemente legati a Venezia, dove si sono laureati in cinese e dove si sono conosciuti, abitando nella casa studentesca Santa Fosca della Diocesi.
Due casi nel condominio e chiusura totale per un mese. Dal 2008 vivono a lavorano a Shanghai, dove sono nati i loro due figli, Aurora di 9 anni, e Elia di 4. «Il 28 marzo – ricordano – le autorità ci hanno vietato di uscire di casa: nel nostro centro residenziale erano stati segnalati due casi di positività. Da allora, fino al 25 aprile, non abbiamo messo il naso fuori dal nostro appartamento. Poi un allentamento: adesso possiamo andare giù, nel giardino del nostro palazzo di 38 piani. Ma uscire dall’area condominiale non si può, se non per motivi molto gravi».
Per due mesi questa è stata è la condizione di tutta Shanghai, una megalopoli di 26 milioni di abitanti, che vivono su una superficie uguale a quella occupata dalle tre province di Venezia, Padova e Rovigo (dove però vivono solo 2 milioni di persone).
Se tutto andrà bene, cioè se proseguirà il calo dei casi positivi, entro la fine di giugno si dovrebbe tornare alla piena normalità. Ma date certe, per ora, non ce ne sono e non c’è certezza neppure in base a che tipo di “normalità” si vivrà dopo.
Per esempio, dal 6 giugno le scuole riapriranno, ma solo per gli alunni che devono sostenere un esame, come la nostra maturità. Andranno avanti per un mese, prima delle prove per il diploma. Ma ogni studente, prima di entrare in classe, dovrà fare ogni giorno un tampone rapido; e chi risultasse positivo verrà subito portato in un centro Covid. Ma non solo lui: anche la sua famiglia e i suoi contatti diretti. Dal che si capisce quanto impegnativo possa essere il rientro a scuola.
Un test al giorno da caricare su una app. Ma i due mesi vissuti a casa da Erika e Angelo dice lo stile con cui la Cina affronta la lotta al virus, secondo la logica del “Covid zero”, appunto: «Le prime due settimane, per noi – ricordano – sono state durissime. Ogni giorno un self test domestico, il cui esito era da caricare su una app; e ogni due-tre giorni un infermiere veniva a fartene un altro. Se risultavi positivo al tampone, ricevevi una telefonata ed entro dodici ore arrivava del personale per portarti via, verso uno di quei centri anti-Covid ricavati nelle ex fiere o in qualche altro grande spazio. Ma il peggio era che, se a risultare positivo era un bambino, lo si separava dai genitori, qualsiasi età avesse, e lo si portava via. Quindi il nostro terrore era che ci portassero via i bambini: questo è stato per noi il momento più difficile».
La protesta degli stranieri per salvaguardare i bambini. Poi, soprattutto per la protesta degli stranieri, qualcosa è cambiato: «Dopo dieci giorni i consolati, tutti insieme, hanno scritto alle autorità per chiedere che i bambini positivi non venissero isolati dai genitori. La richiesta è stata accolta ed è stata estesa anche ai cinesi, per cui se un bimbo è infetto il genitore sarà con lui al Covid hospital».
È stata un’impresa, però, anche procurarsi da mangiare: «Le prime tre settimane era vietato uscire per qualsiasi motivo e non potevi fare la spesa né farti arrivare roba a casa. Tutti i supermercati on line erano intasati, ci alzavamo alle 5 del mattino per provare a comprare qualcosa su internet, ma saremo riusciti ad acquistare qualcosa solo una-due volte: un po’ di yogurt e del latte».
La spesa di condominio, un prodotto per volta. Come sopravvivere, dunque? «La nostra fortuna è stata che, durante il capodanno cinese, prima dello scoppio della pandemia, siamo andati in una catena di supermercati americani. I prezzi erano convenienti e abbiamo fatto scorta di pasta, di salsa di pomodoro, di miele e altri prodotti base. Non prevedevamo quel che sarebbe successo di lì a poco, ma siccome il supermercato è lontano da casa nostra abbiamo fatto scorte per tre, quattro mesi. Ciononostante, abbiamo razionato il cibo, non sapendo quanto sarebbe durato l’isolamento. Carne, comunque, non ne abbiamo più vista, se non – da poco tempo – surgelata».
E tutte le altre famiglie che non avevano scorte simili? «Tanti scambi con il vicinato», spiegano i due coniugi italiani. «Ma se sei straniero hai difficoltà, perché per un giorno o due mangi le loro cose, ma poi…».
Adesso le cose sono cambiate: «Ci sono i gruppi di acquisto, perché ancora è vietato comprare al supermercato. Ci si accorda, tramite una app, con i vicini, e si decide: oggi, per esempio, compriamo patate. E così si compra un camion di patate, che porta ad ogni famiglia, poniamo, trenta chili di tuberi. Solo in questo modo l’ordine va in porto, ma non si può fare una spesa varia. Oltretutto, metà delle cose che si acquistano non sai neanche come cucinarle e hanno un gusto molto cinese…».
Giorgio Malavasi