Riemergono le tracce della chiesa di Sant’Antonio di Tessera, scomparsa nel XIV secolo e di cui non si hanno notizie da oltre 600 anni. «Ci sono elementi che fanno pensare alla sua localizzazione tra l’attuale via Orlanda e la laguna, più o meno dove c’è oggi l’idrovora del Consorzio Acque risorgive». Lo dice Lionello Pellizzer, autore dello studio che porta a questo risultato e anche dei testi di un nuovo libro, “Da San Martino di Campalto a Terzo di Tessera. Il territorio della gronda di Venezia nei documenti della Mensa Patriarcale”.
Il volume fa parte della serie dei Quaderni dell’associazione Terra Antica ed è la prosecuzione di un altro libro: “I Certosini, i Morosini e il Patriarcato di Venezia”, pubblicato nel 2018. La chiesa di cui tornano alla luce alcune tracce, almeno nei documenti, venne costruita probabilmente nell’VIII o nel IX secolo e, a sua volta, era erede di una porzione di storia cristiana ancora più antica: la chiesa dedicata a Santo Stefano ad Altino, andata distrutta nel VII secolo, insieme alla città che la ospitava. Insomma, un mistero che si avvita nell’altro…
Incrociando documenti e mappe antiche sia dell’Archivio patriarcale che dell’Archivio di Stato, Pellizzer ha raccolto numerosi indizi: «Della chiesa – spiega – si parla fino al 1350-1400, poi basta. Nei documenti si trova il toponimo “ripa di Sant’Antonio” e in una mappa la dicitura “canale di Sant’Antonio”. Tutto lascia pensare che questi luoghi si trovassero vicino alla chiesa, che a sua volta era edificata nei pressi dell’antica via Piovega, che da Mestre portava a Tessera e alla laguna».
Nel nuovo libro sono esaminati anche altri capitoli di storia della gronda lagunare, come le origini dell’Abbazia di San Cipriano di Murano e del Priorato di S. Elena di Tessera, i cui beni furono accorpati al Patriarcato di Venezia nel 1587. Sono inoltre esplorate le tracce archeologiche e documentali del monastero di San Cipriano “da terra”, situato in un’isola ora scomparsa e collocata a qualche centinaio di metri dalla Punta Lunga di Tessera, nei pressi dell’aeroporto Marco Polo.
«Ma le ricerche per questo libro – prosegue Lionello Pellizzer – hanno sempre tenuto al centro la vita delle persone, nei limiti di quanto questa sia ricostruibile e raccontabile a partire da documenti amministrativi. Per esempio, sono descritte le vicende di nove famiglie, per secoli affittuarie della Mensa patriarcale (cioè del fondo patrimoniale in cui erano inseriti i beni del Patriarcato) e vissute fra il ‘700 e il ‘900.
«Le nove famiglie sono quelle di cui ho trovato maggiore documentazione, in particolare i contratti di affitto e i contenziosi. Erano tutte famiglie che oggi definiremmo patriarcali, cioè grandi e con tanti componenti: nei documenti è citato perlopiù solo il capofamiglia, ma a volte si trovano anche i fratelli con relativi moglie e figli».
Così riemerge la storia dei Checchin, dei Gottardo, dei Danieli, dei Longo…: «I Checchin – conclude l’autore dell’indagine – sono probabilmente la famiglia più importante. Un primo contratto d’affitto intestato a loro è del 1540, e vengono identificati anche come “Badin”, cioè lavoratori dell’abbazia. È probabile che fossero gli affittuari dell’abbazia di San Cipriano, prima che questa fosse incorporata dal Patriarcato».