All’alba del giorno dopo l’architetto Paolo Tocchi era a bordo di un vaporetto che da Venezia lo avrebbe portato a Torcello. Durante il tragitto vedeva la tragedia di fango che aveva invaso la laguna, e in cuor suo sapeva cosa aspettarsi al suo arrivo nella Basilica di Santa Maria Assunta. «Speriamo che il peggio sia passato» era l’unica cosa che ripeteva tra sé e sé. Facendo scalo a Burano vedeva la gente con mobili, divani e lavatrici riversi in fondamenta e il continuo andirivieni degli operatori ecologici che cercavano di sistemare il più possibile: «Sembrava di attraversare un campo di battaglia. Il mio tragitto verso Torcello è stata una fase di preparazione, sapevo che ad aspettarmi c’era il disastro». Così l’architetto Tocchi ricorda dopo due anni, ancora con amarezza, la seconda Aqua Granda più alta di sempre: 187 cm che invasero Venezia e le sue isole, le case e le chiese. «Passai due giorni in Basilica a Torcello a tirar via acqua e fango. In chiesa c’erano oltre 30 cm», ricorda. «La fortuna è stata avere i volontari della Protezione Civile, insieme al personale della ditta Pierobon che di solito segue i restauri in Basilica, gli operatori Veritas, che non si sono mai fermati, e i pochi abitanti dell’isola accorsi subito per dare un aiuto». Subito dopo aver rimosso l’acqua rimasta in chiesa e in cripta, gli operai sono passati a pulire più volte il pavimento musivo della basilica per evitare che il sale rimanesse intrappolato tra la pavimentazione.
Il ritorno dell’acqua, dopo la prima pulizia. Ma il lavoro fu inutile perché nei giorni successivi altre e insistenti alte maree inondarono nuovamente la basilica, con l’acqua che traboccava dal rio a fianco dell’edificio o saliva dalla cripta: «L’acqua usciva da sotto il pavimento e sembrava quasi bollire» ricorda l’arch. Tocchi. Appena la marea scendeva si riprendeva a lavare la pavimentazione il più possibile per preservarla dalle infiltrazioni saline: «Con il pavimento a tessere musive non si può usare un getto forte d’acqua ma occorre pulire con cura e spazzolare con molta delicatezza per non far venire via i pezzi». I lavori di ripristino sono iniziati immediatamente. I 20 mila euro destinati per l’emergenza dal Comune sono stati spesi per lavare i pavimenti, per il ripristino e l’uso delle pompe, insieme alla manodopera. Una cifra però che non è bastata. Fondamentale allora è stato il contributo di Save Venice, pari a 27.598 euro, con cui è stato possibile continuare a svolgere il mantenimento e il funzionamento delle pompe, una successiva pulizia in chiesa e in cripta, ma soprattutto un argine provvisorio di contenimento lungo il rio retrostante la chiesa, realizzato con sacchi di sabbia e teli di nylon, necessario per impedire il traboccamento dell’acqua. «L’abside della chiesa infatti si trova ad un livello inferiore rispetto al terreno e bastava un attimo perché l’acqua, traboccati i margini, inondasse la basilica per poi essere rimossa dopo giornate intere. Un lavoro messo in opera rapidamente dalla ditta Pierobon, eseguito tra dicembre 2019 e gennaio 2020 e che è servito tantissimo».
Un milione da Save Venice. Inoltre nella parte bassa della muratura sono anche state chiuse alcune buche pontaie in modo da bloccare l’entrata dell’acqua. Lavori questi ultimi svolti in occasione di un’altra serie di interventi da oltre 1 milione di euro finanziati sempre da Save Venice per le absidi e i mosaici della basilica, non per l’emergenza acqua alta ma per i 50 anni del comitato. Ma la basilica tuttora risente dei danni causati dall’Aqua Granda e bisognerebbe intervenire il prima possibile sui 700 metri quadrati della pavimentazione interessati dall’azione dei sali. «Nonostante i ripetuti lavaggi attuati, tutto il pavimento si sta disgregando. Già nel 2020 si iniziavano ad evidenziare i primi segnali, adesso invece il problema è diventato macroscopico, tanto che ne risente anche la porzione di pavimento più alta del presbiterio. Bisognerebbe fare quantomeno un’operazione puntuale di rimozione dei sali e consolidamento delle tessere. Questo in attesa di un restauro definitivo che coinvolga il sottofondo ormai ridotto ad uno stato fangoso, soggetto a movimenti e ondulazioni» spiega Tocchi, dicendo che si cercano finanziamenti. Per fortuna ora il Mose sta aiutando: «L’acqua non entra più in chiesa, ma in cripta per 200 giorni all’anno sono ancora presenti almeno 30 centimetri. Quest’ultima infatti è molto bassa, ha sempre bisogno di manutenzione e di un continuo utilizzo di pompe».
Francesca Catalano