Parola d’ordine sostenibilità. anche in un campo così particolare come quello dei tessuti. E’ questo il plus valore degli abiti che Alessandra Micolucci, designer-stilista veneziana classe ’89, mamma da poco, nonché portavoce Cna per la categoria tessile, realizza nel suo atelier in calle de la Racheta, a Cannaregio, al civico 3782/B.
«Ho iniziato con la pittura». A caratterizzare tutte le fasi della sua produzione, l’artigianalità: i capi che prendono vita dalle sue dita sono infatti realizzati rigorosamente a mano, attraverso l’utilizzo di tessuti naturali e biologici. Dall’ortica alla canapa, dal lino al cotone provenienti da produttori italiani di filati in fibre naturali.
E alla base del suo lavoro c’è un’ulteriore scelta, ben consapevole. Quella di affidarsi, per la colorazione, a tinture che la giovane artigiana riesce a ricavare dalle piante che lei stessa coltiva biologicamente in un orto nel Trevigiano. Una tecnica che permette ad Alessandra – che nel 2017 ha lanciato il suo brand “Alessandramicolucci Born to dress dreams”, attento ad elogiare la femminilità in tutte le sue forme – di tingere con fiori, piante, ortaggi e radici i tessuti, dando vita a pezzi unici, irripetibili. Arrivando ad instaurare una forte connessione con la natura, omaggiandola e rispettandola ogni giorno.
D’altronde questo è il messaggio attorno al quale ruota la sua arte. «Il mio mondo è sensibile a tale aspetto», precisa lei, spiegando come i tessuti – di origine naturale-vegetale per quanto riguarda la stagione estiva e vegetale accostato ad animale (come la lana) per i mesi più freddi – non abbiano alcun tipo di additivo chimico. «Ed io li dipingo: ho iniziato con la pittura, in quanto sono sempre stata molto legata al mondo dell’arte. Poi, quando ne ho avuto la possibilità, mi sono dedicata anche alla coltivazione, per la tintura naturale. Due-tre volte la settimana mi muovo da Venezia per creare tutto ciò che si vede di colorato nella mia attività». Ma prima di procedere alla colorazione i tessuti vanno sottoposti a trattamenti naturali che ne modifichino le spore, affinché essa tenga anche dopo il lavaggio in lavatrice.
I danni dell’Acqua Granda. Quello avviato da Alessandra è un mondo un po’ più costoso della classica “fast fashion”, è vero, ma pur sempre sinonimo di qualità. «Il mio impegno è comunque quello di rendere accessibile il mio prodotto ai più. L’aver avviato quest’attività non la vedo come una scelta coraggiosa, quanto piuttosto come una cosa in cui credo fermamente». Chi varca la soglia del suo atelier – nato nel 2019, dove cuce, realizza le finiture, dipinge e fa toccare con mano i capi alla clientela – Alessandra la ritiene gente curiosa, interessata alla Venezia più nascosta, meno nota.
«Persone che poi, quando decidono di entrare, lo fanno perché hanno capito davvero cosa trovano dentro. Ho perlopiù clienti dai 40 ai 70 anni, internazionali ma anche molte veneziane», dice l’artigiana, che si occupa anche di realizzare cartamodello e prototipo, tornando con la mente ai drammatici momenti dell’Aqua Granda, in cui ha perso ogni cosa. Macchine da lavoro in primis. Poi la ripartenza, nella convinzione che una sola notte non avrebbe potuto spazzare via l’aspirazione di una vita. Tornando così a realizzare total look «su cui trasferire l’essenza della natura che ci circonda».
A Venezia manca una raccolta dei rifiuti umidi come si deve. Certo, le difficoltà non mancano. E se si è mamma ed artigiana insieme, ancor di più. «La maternità o non ti viene garantita o è misera. Assegni di maternità o familiari? Non ne ho. Ecco, ci vorrebbe un po’ più di equità per tutti. Senza considerare che per gli artigiani che hanno una piccola attività a gravare è soprattutto l’Iva. Il futuro della città d’acqua? Non è possibile che in una realtà come questa non vi sia la raccolta differenziata dell’umido. Venezia necessita di sensibilità. E di amore».
Marta Gasparon