Il futuro – non troppo remoto – di Venezia dipende soltanto da noi. E il punto di partenza non può che essere uno: cercare di orientare nuovamente lo sguardo ad una realtà vissuta. L’architetto Giovanni Leone, presidente di Do.Ve, associazione nata qualche anno fa da un gruppo di esercenti e residenti del sestiere di Dorsoduro, che oggi conta circa 600 membri, non ha dubbi: «A Venezia la regola è l’eccezione, – dice – il che significa riconoscere la varietà, la diversità come un valore. Questa città non è qualcosa di uniforme, ma un mix di parti che stanno assieme. Ecco perché comunità e insieme, contrapposti al dettaglio, sono importanti: Venezia dovrebbe aprirsi innanzitutto alla dimensione sociale, poiché il suo valore non sono i palazzi che la compongono ma la qualità delle sue relazioni». Un aspetto, quest’ultimo, che abbiamo smarrito. E secondo Leone destinato a perdersi ulteriormente se gli abitanti continueranno a calare nei numeri. Tuttavia, quando il periodo nero che la pandemia ha portato con sé sarà solo un lontano ricordo, non basterà rivendicare il diritto alle case. «Bisogna ripensare Venezia come una città da vivere, non da guardare e basta. Sarà dunque necessario portarvi attività e accogliere persone da tutto il mondo, affinché la abitino». La chiave di tutto è chiara: non sfruttare, ma far fruttare la città. In altre parole, darsi una visione che allo stato attuale manca e che non può basarsi esclusivamente su un turismo che «con le sue oscillazioni abbiamo visto che ci affonda. Venezia è unione fra natura e insediamento antropico e tale convivenza non può che essere basata sul rispetto, al quale tutti noi dobbiamo tornare».
La risorsa di Dorsoduro. Una realtà plurale, dunque. Esattamente come quei caratteri di varietà – vera risorsa – che identificano appieno sia l’associazione che il sestiere di Dorsoduro, fatto di attività pensate per il cittadino, musei, sedi universitarie, case popolari e tanto altro. Perché per Leone, contrariamente al prodotto turistico a cui la città lagunare si è votata negli ultimi tempi, bisogna andare oltre. Ossia «trasmettere agli ospiti (e non turisti) che un modo diverso di vivere questo luogo è possibile. Venirci a fare esperienza e assaporarne la dimensione introspettiva, in quanto a Venezia cammini e allo stesso tempo pensi, rifletti». Allora ecco che il momento presente, segnato da un’annata complicata, può essere visto come un’opportunità di rilancio. Di ripartenza dalla giusta prospettiva. «Un ritorno al passato non è possibile», commenta il presidente, sottolineando come l’impegno dell’associazione – nata per consolidare l’appartenenza ad una comunità di vicinato – consisterà sempre di più nel cercare di creare dialogo, a 360 gradi. Fare da ponte.
Un esempio controcorrente. Accanto alle prospettive future, non mancano intanto le riflessioni sull’oggi. «I negozianti della zona? Il 60% di loro è in difficoltà». E il motivo è semplice. «I proprietari di tante botteghe e fondi – in alcuni casi, diciamolo, non speculatori stranieri ma veneziani – hanno fatto uno sconto solo temporaneo sugli affitti, chiedendo per il 2021 quanto non arrivato nel 2020. La gente si è abituata ad un certo livello di guadagno e non vuole retrocedere. Ma questo significa condannare le attività alla chiusura». Gli esempi positivi tuttavia non mancano. Come quello di “Small caps”, studio di progettazione grafica, trasferitosi da calle de l’Avogaria in campo Santa Margherita su proposta del proprietario, col quale i titolari hanno accordato un prezzo ragionevole. E proprio loro, per non mettere in difficoltà la proprietaria dell’altro fondo, hanno trovato un artista che vada a lavorare lì. «Questo è il senso di comunità. In questo periodo più che mai dobbiamo rilanciare i valori reali, profondi. Altrimenti la crisi non farà che inaridirci», dice Leone, soffermandosi sui prossimi progetti, pandemia permettendo, come “Musica a chilometro zero”. «Tra i nostri associati c’è anche il Venice Jazz Club, con il quale in primavera organizzeremo dei concerti nei vari campi della città. Stiamo avviando relazioni anche con il museo Guggenheim e Ca’ Rezzonico per utilizzarne il giardino in occasione della presentazione di libri».
Marta Gasparon