È proprio nei momenti di difficoltà che a volte esce fuori il meglio. Lo sanno bene Elisabetta Fedeli e Albana Palmisano, titolari di un’attività inaugurata tre settimane fa in calle de l’Aseo, a Cannaregio, e così ribattezzata: “817 Venezia atelier”.
Di 42 e 48 anni, le due amiche si conoscono ormai da un ventennio ed è proprio questo, forse, l’ingrediente più prezioso che ha permesso loro di trasformare un sogno in realtà. Anche in tempo di pandemia. «Volevamo dare un segnale positivo ai nostri figli – dice Albana, originaria di Burano – demotivati dal contesto attuale.
Per far capire loro che, credendo in ciò che si fa, si può andare avanti». Bastano buona volontà, passione e un pizzico di sano ottimismo. Solo così Venezia potrà risorgere dalle sue ceneri, tornando ad essere la città d’un tempo, quella ricordata oggi con nostalgia da chi l’ha vissuta per davvero. «Il momento giusto? Non esiste. L’importante è buttarsi», aggiunge la collega, spiegando come nel loro caso sia stata di grande aiuto una riduzione dell’affitto concordata alla luce della situazione emergenziale presente. Autodidatte della sartoria e appassionate di moda, Elisabetta e Albana creano tutto da sé. Capi unici nel loro genere, dal gusto estroso, che prendono vita dopo un’accurata progettazione: gonne, giacche, felpe, pantaloni, cappotti sfoderati, borse per fare la spesa o per passeggiare. A cui s’aggiungono le scarpe, realizzate in collaborazione con un artigiano marchigiano.
«Ci ispiriamo ai tessuti che troviamo, di qualità e confortevoli al tatto. Non ne compriamo in grosse quantità, per evitare di avere troppe cose dello stesso tipo. Studiamo i colori e le tendenze del momento, per poi procedere alla creazione», raccontano le amiche, lanciatesi in quest’avventura dopo un viaggio a Roma per vedere Papa Francesco. Durante il ritorno in treno, hanno iniziato a ragionarci su e a buttar giù qualche idea, trascrivendola sulla carta. «Girando per le vie della città vedevamo abiti costosi ma di bassa qualità. Al che ci siamo dette: perché non produrre qualcosa di bello insieme?». E l’obiettivo è uno, perseguito ogni giorno con amore e dedizione all’interno dell’atelier, arredato con mobili recuperati qua e là, poi sistemati: far sì che tutte le donne si sentano belle, cercando di andare incontro alle loro esigenze. Certo, parlare di negozio – il cui marchio distintivo è una stella, affiancata dal numero 817 – per Elisabetta e Albana è riduttivo. Perché la loro bottega la intendono più come un luogo familiare, in cui la cliente non solo possa provare e acquistare qualcosa, ma anche scambiare due chiacchiere in compagnia. «La nostra è un’attività pensata per i veneziani. Mentre per i turisti un punto d’orgoglio è che si portino a casa un indumento sulla cui etichetta compare proprio il nome della nostra città». Oltre al numero 817, scelto non casualmente. L’8 è infatti nata Albana e il 17 Elisabetta, senza considerare che 7 più uno fa 8. Che, se posto orizzontalmente, rimanda al simbolo dell’infinito. Esattamente com’è il loro sguardo rivolto al futuro.
Marta Gasparon