Un anno fa, alla vigilia della Giornata per la Vita del 2020, al Centro Aiuto alla Vita si erano conteggiate circa 70 nascite: bambini venuti al mondo nell’anno precedente grazie anche al supporto – e talvolta al convincimento – delle volontarie del Cav. Poi è arrivata la pandemia, che ha stravolto le vite di tutti. E anche l’attività del Centro di via Altobello, a Mestre, è stata per forza di cose condizionata dalle circostanze e dalle tante limitazioni con cui si continua a fare i conti. Ma non è mancato il sostegno alle mamme in bilico, o in difficoltà, di fronte a una gravidanza non preventivata. «Quest’anno si è potuto lavorare poco», premette la presidente del Cav Brunella Furegon, tracciando un bilancio sommario dell’attività del Cav alla vigilia della XLIII Giornata per la Vita che si celebra domenica 7 febbraio. I dati non sono aggiornati, perché gli incontri in presenza sono stati molti di meno rispetto al solito. Per quanto riguarda le nascite se ne contano circa una ventina, ma non si è riusciti ancora a rintracciare tutte le mamme per avere le conferme: «Non è semplice per telefono – chiarisce – visto che molte mamme parlano a stento l’italiano». In ogni caso si può dire che il numero di famiglie assistite si attesta più o meno su quello dell’anno scorso. «Il problema sono gli incontri a tu per tu: poche sono disposte a prendere mezzi pubblici, di questi tempi, per venire in sede», sottolinea la presidente. Per non parlare dell’impossibilità di avvalersi di un’interprete: può venire una persona alla volta. Così, tante non si presentano all’appuntamento. «E poi abbiamo le mani legate, perché non possiamo consegnare roba usata, e gli alimenti alla fine scadono. E vanno buttati».
Lo stop e i magazzini pieni. «I bambini – ricorda Brunella Furegon – crescono in fretta; hanno bisogno di indumenti nuovi: inverno, estate… I nostri magazzini sono strapieni. Abbiamo funzionato fino all’8 marzo. Poi siamo rimasti chiusi fino a maggio; quindi abbiamo tentato di riaprire con appuntamenti scaglionati». A ottobre di nuovo la situazione è tornata critica. «È difficile continuare così, anche perché i nostri volontari sono anziani. E ci è mancato, dopo improvvisa e veloce malattia, chi teneva la segreteria e curava il programma gestionale per comunicare le statistiche al movimento nazionale. Oggi siamo rimaste in quattro. E le incombenze burocratiche sono le stesse dei tempi normali», precisa amareggiata. «Abbiamo fatto le convocazioni, rinnovato le cariche sociali… Ma come possiamo chiedere di collegarsi su zoom a persone che hanno non meno di ottant’anni? L’assemblea straordinaria l’abbiamo fatta appena possibile per il minimo indispensabile. I progetti ci sono. E il Comune di Venezia è disposto ad aiutarci, per fortuna».
Due situazioni di emergenza. Durante la chiusura, attraverso il numero di emergenza della sede nazionale, il Cav mestrino è stato contattato da due donne, incerte sulla loro gravidanza, che poi non hanno abortito. «In realtà nessuna delle due era veramente convinta di farlo. Una mamma ce l’ha segnalata un prete di Mestre, a ferragosto. L’abbiamo incontrata subito. Appena rimasta incinta era stata lasciata dal ragazzo. Dobbiamo ringraziare anche la buona famiglia che ha alle spalle». Il secondo caso si è verificato subito prima di Natale: «Una delle ragazze che vengono da noi ha contattato la nostra instancabile ostetrica nell’interesse di un’altra persona, un’amica, incinta della terza figlia; un lusso di questi tempi, e infatti era in crisi (il marito è in cassaintegrazione). Un giorno sono passata al centro per vedere le carte (come faccio un paio di volte alla settimana, anche per controllare gli immancabili messaggi in segreteria) e ho trovato un’offerta della parrocchia di Jesolo. È stato l’aiuto decisivo…». Il futuro non sembra per niente roseo. «Lo vedo parecchio in salita… Anche noi dobbiamo fare i conti con le nostre forze – chi rimane – e riorganizzare i servizi di conseguenza. Abbiamo messo a norma la sede. La Protezione Civile ci ha fornito mascherine e disinfettanti. Ma che senso ha tenere un centro d’ascolto, quando non puoi incontrarti faccia a faccia, e le persone fanno fatica a parlare e capire l’italiano? La visiera rende tutto surreale». Tuttavia… «Non mollo: è un servizio importante. In questo periodo non ho fatto più nessun conto su me stessa; mi sono veramente affidata al Signore. L’aspetto gestionale lo sto prendendo in mano io adesso. Con i progetti d’impiego di persone in lavori socialmente utili si poteva trovare qualcuno adatto, ma ora è impossibile. Per inserire persone nuove serve un tirocinio. Visto il tempo di emergenza, preferiamo fare da sole. Un aspetto bello, comunque, è l’incoraggiamento e l’amicizia che ci vengono dagli ex volontari. Stiamo anche approfittando per qualche lavoretto: pulizie, ridipintura dei locali… abbiamo cambiato due scrivanie».
Famiglie in difficoltà da intercettare. Tra le utenti ci sono molte mamme non iscritte, segnalate dalle parrocchie o da persone che conoscono i volontari. «In futuro vorremmo intercettare queste situazioni. Chissà quante ce ne sono. Famiglie giovani, momentaneamente in difficoltà. Le conosci attraverso i figli che vanno a scuola. Persone che se la sono sempre cavata, ma che ora sono un po’ in crisi. Ci è capitato di poter dare scatole di tachipirina, sciroppi o creme per la pelle. Certo, non è solo l’aiuto materiale che desideriamo offrire. Non vogliamo passare per la Caritas dei bambini. La nostra missione è trasmettere la cultura della vita. Ma è difficile parlare di etica in questo momento. Serve roba da mettere sulla tavola».
Giovanni Carnio