«La morte di Paolo Rossi per me è stata come la perdita di un fratello maggiore. Ricordo tutto quello che lui ha fatto per me, allora diciottenne, per farmi entrare nel gruppo dei Campioni del Mondo del 1982. Paolo arrivava da un momento delicato, era rientrato da poco, ma per Bearzot era imprescindibile. Lo porterò dentro per sempre. Anche se ci manca tantissimo». E’ passato poco più di un mese dalla prematura scomparsa di Paolo Rossi, avvenuta lo scorso 9 dicembre. A ricordarlo a GV è Giuseppe Bergomi, il più “piccolo” della Nazionale di Enzo Bearzot in quel Mondiale indimenticabile.
Chi era, nel 1982, Paolo Rossi?
Per me era una guida. E noi eravamo anzitutto una famiglia. Il nostro successo è dipeso da lì. Rossi era il condottiero in campo, insieme a Bearzot in panchina. I suoi tre gol segnati al Brasile ci fecero capire che nessuno ci avrebbe più fermato. Fu la svolta decisiva per il nostro Mondiale.
A decenni di distanza, chi era diventato Paolo Rossi?
Era sempre lo stesso. Ovviamente in un contesto diverso, ma era sempre il nostro Paolo. Capace, come pochi altri, di trattare il calcio con la leggerezza di un gioco. Un campione che ha vinto il Pallone d’oro, ma non se ne è mai vantato. Ha sempre mantenuto la stessa umiltà. Per questo per me Paolo da guida è diventato anche un esempio da imitare.
Sapeva della sua malattia?
Sinceramente no. E questo mi lascia un po’ di rammarico, per non essergli stato forse abbastanza vicino. Ma Paolo e la sua famiglia sono sempre stati così:, non volevano disturbare. Visto il triste epilogo, ripercorrendo le conversazioni della nostra chat (il gruppo whatsapp costituito dai giocatori campioni dell’82, ndr) posso anche dire che la sua grandezza è stata anche quella di essere sempre presente con noi. Aveva sempre un incoraggiamento, una parola buona per chi aveva bisogno. Non sapevamo le cure che stava affrontando. Magari per un paio di giorni non si faceva sentire, però poi un suo messaggio arrivava sempre. Così nessuno di noi ha potuto sospettare nulla. E’ stato un grande uomo anche per questo.
Quale è la cosa che porta nel cuore?
Il suo sorriso. E la leggerezza, come dicevo prima. Per questo uno come Rossi manca molto anche al calcio di oggi, così frenetico e serio.
Cosa insegna, invece, la storia sportiva di Rossi?
E’ un incoraggiamento per i giovani. Insegna che i sogni si possono realizzare. L’importante è credere in se stessi, comportarsi bene in coscienza. E anche quando sembra che tutto vada nel modo peggiore, arriva sempre uno spiraglio di sole. La vita offre sempre un’occasione di riscatto. Bisogna crederci.
Come mai Rossi è diventato un simbolo per milioni di italiani?
Perché non era solo il giocatore di un club. Meglio di chiunque altro Paolo ha saputo rappresentare la maglia azzurra e la Nazionale. Un campione trasversale, anche se ovviamente giocava in un club, dal Vicenza alla Juventus. Ma lui era trasversale. Era prima di tutto azzurro.
Questione di fortuna?
Io sono persona di fede. E credo che la Provvidenza abbia per ciascuno di noi un disegno, a volte imperscrutabile. Mettiamoci nelle mani della Provvidenza e di Dio e non saremo delusi.
Una morte così apre, però, anche a riflessioni amare…
E’ naturale che la morte suscita degli interrogativi anche sulla presenza e sulla reale volontà di Dio. Non ho risposte. Se non nell’affidarsi come dicevo prima. Non abbiamo scelto noi di venire al mondo. La sofferenza fa capire una cosa importante: cerchiamo di utilizzare bene il tempo che abbiamo. La sofferenza non guarda in faccia gli idoli, il blasone, la gloria passata.
E poi cosa lascia ancora, a noi sportivi, Paolo Rossi?
Il secondo aspetto dell’insegnamento di Paolo che vorrei ricordare è il più importante, perché dura per tutta la vita: si può essere grandi anche quando si smette di giocare. Non è vero che finito di giocare si spegne una luce. Si vive un nuovo capitolo che può essere altrettanto importante. Sta a noi cogliere queste opportunità che, se siamo attenti, ogni giorno la vita ci offre. Gratis.
Ha iniziato a giocare a calcio all’oratorio. Che ruolo possono avere i patronati nel calcio e nello sport di oggi?
Ho iniziato nell’oratorio di Settala e ne sono fiero e orgoglioso. Le parrocchie e gli oratori hanno tutte le qualità per essere un riferimento nel calcio di oggi. Anche perché dei nostri ragazzi, forse uno su mille farà carriera nel calcio, ma tutti possono diventare grazie allo sport e al calcio buoni cittadini e brave persone.
Lorenzo Mayer