Si può essere fedeli alla volontà di Dio comunque le cose vadano? Si può, risponde il Patriarca Francesco. L’esempio viene da una figura biblica: quella di Tobi, narrata nell’Antico testamento, nel libro di Tobia.
Mons. Moraglia ne tratteggia l’insegnamento durante l’omelia pronunciata giovedì 8, giugno, nella basilica della Salute, in occasione della Messa celebrata per rendere grazie a Dio dei Giubilei di sacerdozio, cioè dei presbiteri veneziani che hanno ricordato in questi giorni, 60, 50, 25 o anche un solo anno di ordinazione (nella foto d’apertura).
La vicenda di Tobi, padre di Tobia, è esemplare al punto da essere fonte di ammaestramento in misura non inferiore a quella del più noto Giobbe.
La premessa, rileva il Patriarca è che «entrambi, Tobi e Giobbe, sono amici di Dio ed entrambi subiscono prove umanamente inspiegabili. Sì, nonostante le loro vite irreprensibili, gli eventi si accaniscono contro di loro e così – provati duramente – diventano oggetto di derisione, critiche, sospetti da parte di amici, di familiari e delle stesse mogli. Tobi (nel dipinto qui sotto, ndr) e Giobbe sono posti dinanzi all’agire di un Dio che sconcerta; Dio, l’Onnipotente, Colui che è il giusto e il misericordioso, si accanisce e pare puntare il dito contro di loro senza motivo; sono duramente provati, tentati e lasciati soli».
Tutto questo non ha spiegazioni umane; accade in modo gratuito e assurdo: «Tobi e Giobbe sono, quindi, due giusti provati, che soffrono senza motivo; sia Tobi sia Giobbe sanno di non aver mancato, di non essersi macchiati di colpa; eppure sono maltrattati, derisi e – pare – abbandonati».
A questo punto è opportuno, però, notare le differenze: «Giobbe – prosegue il vescovo di Venezia – è l’uomo che soffre ed è provato ingiustamente. Sta di fronte a Dio e grida la sua innocenza arrivando a dire: piuttosto che continuare a maltrattarmi, fammi morire. Giobbe, quando parla, si mostra sicuro della sua innocenza, ignaro di peccato e vuole che siano affermate le sue ragioni; nessuno deve poter dubitare della sua onestà. Giobbe è realmente persona fedele e pia, ma la foga e l’inquietudine nell’affermare la sua innocenza dicono un atteggiamento ancora troppo umano».
Diverso è l’atteggiamento di Tobi: «Mentre Giobbe rivolge a Dio la domanda accorata ed esigente – quasi la pretesa di conoscere il perché delle prove e sofferenze percepite come ingiuste – in Tobi notiamo, invece, l’umile e quotidiano servire Dio nei fratelli nel silenzio, nella carità verso gli altri esuli, crescendo in rettitudine e santità personale. Tobi è tra i deportati a Ninive, diventa cieco dopo aver compiuto un atto di carità (la sepoltura di un morto) e in più si viene a trovare a vivere in miseria, ma nonostante queste prove continua a testimoniare la fedeltà all’Alleanza, senza chiedere a Dio la ragione di quanto sta accadendo».
Diverso è anche il rapporto con Dio: «In Giobbe Dio si manifesta come pura trascendenza, un Dio che è “altro” rispetto all’uomo, un Dio lontano, insondabile, inattingibile; la religiosità di Giobbe è quella cosmica. Nel libro di Tobia, invece, Dio si manifesta come Provvidenza e sapienza che prende la forma della legge donata da Dio al popolo e che si prende cura dell’uomo inviando il suo angelo a sostenerlo nelle prove; è la religione dell’Alleanza. Al grido di Giobbe si oppone l’abbandono fiducioso e la preghiera di Tobi; all’ineffabile e trascendente Dio di Giobbe, che però pare abbandonare l’uomo al suo destino, corrisponde – nel libro di Tobia – la Provvidenza che accompagna l’uomo, passo dopo passo, e se ne prende cura anche attraverso la presenza dell’arcangelo Raffaele come guida divina».
Insomma: «Mentre Giobbe chiede insistentemente il perché del suo destino, e quasi vorrebbe una rivincita per le sue sofferenze e umiliazioni, Tobi accetta di vivere ogni giorno nella fede e in semplicità di cuore».
Tobi, quindi, «matura la sua fede attraverso prove che rendono giusti attraverso l’umiltà e la pazienza; in lui abbiamo la figura dell’uomo che, in qualche modo, anticipa in semplicità e verità la preghiera di Gesù nel Padre nostro: “…sia fatta la tua volontà” (Mt 6,10). Giobbe, invece, si lamenta, geme, chiede le ragioni delle sue sofferenze. Tobi, al contrario, non pretende e non chiede ragioni, si affida solo a Dio. Non è l’eccellere sugli altri, non è la ricchezza o l’esercizio di una missione di leader che rende giusti ma, piuttosto, il timore di Dio, ossia il perseverare nella santità e fedeltà».
Una lezione, quella di Tobi, che vale per tutti i cristiani, e in primo luogo, per i presbiteri. Lo sottolinea il Patriarca: «Anche questo, cari confratelli, è dire il nostro “sì” di presbiteri all’alleanza che Dio ha stipulato con noi e, tramite nostro, con le nostre comunità. Questa è la vera carità pastorale disinteressata di chi serve».