Il carcere non è un luogo dove crescere i bambini, eppure con l’attuazione della legge 62 del 2011, nata dalle migliori intenzioni, l’indiretta detenzione dei bambini che accompagnano le madri recluse nel tempo è raddoppiata: da tre a sei anni. Di questo parla il libro “Uscire dal carcere a sei anni. I figli delle detenute tra diritti che confliggono: stare con la madre o essere liberi” della veneziana Carla Forcolin, edito da Franco Angeli, con il contributo di Aurea Dissegna, Mario Magrini, Maurizio Pitter e la Prefazione di Gianfranco Bettin, che in primis si rivolge al legislatore affinché rimedi agli effetti indesiderati della legge. Nel suo libro Carla Forcolin, fondatrice dell’Associazione “La gabbianella e altri animali”, che si occupa di adozione e affidamento e che per tanti anni ha collaborato con il carcere femminile della Giudecca, spiega come i figli delle detenute possano arrivare a trascorrere fino a sei anni negli Icam, gli Istituti a Custodia Attenuata per Madri, creati nel tentativo di mitigare gli effetti del carcere nei bambini. Nonostante qui le stanze siano più belle e i blindi sostituiti da porte robuste, i bambini crescendo non si lasciano ingannare: «Quando iniziano a confrontarsi all’esterno con i coetanei si chiedono perché la mamma non possa uscire con loro e dove realmente abitino – spiega Forcolin, descrivendo la loro sofferenza -. L’Icam alla fine rimane un carcere e i bambini non possono trascorrervi tutta la prima infanzia se non si vuole rovinare la loro vita. Chi precedentemente restava solo fino ai tre anni, infatti, spesso nel tempo ha dimenticato la prima parte della sua infanzia risparmiandosi molti disagi». Ma allungando il tempo di permanenza fino a sei anni, la consapevolezza della reclusione porta inevitabilmente a un “trauma”.
Le proposte del libro. Proprio per questo nel libro Carla Forcolin ha avanzato delle proposte per fare in modo che la permanenza dei bambini somigli il meno possibile alla reclusione, tra cui: il ritorno ai tre anni di età massima della carcerazione indiretta, la garanzia di uscite e momenti di svago, compreso l’accesso all’asilo nido o alla materna comunali, grazie ad un accompagnatore affidatario diurno, proprio come ha fatto la Gabbianella durante la sua collaborazione con il carcere fino al 2019. Attualmente non è affatto scontato che nel periodo di permanenza i bambini possano allontanarsi dal carcere né tantomeno che, raggiunti i sei anni, al momento in cui devono uscire possano restare con la madre. Se a quest’ultima non viene concesso di scontare la pena agli arresti domiciliari o in casa famiglia, i bambini infatti o sono accolti nella famiglia d’origine o posti in affidamento o in casa famiglia. «L’affidamento quando necessario dovrebbe essere consensuale, ma capita perfino che sia giudiziario – spiega -. L’uscita dei bambini deve essere preparata, graduale e concordata con la madre, ma non sempre è così».
L’esperienza veneziana interrotta. A Venezia, come è raccontato nel libro, decine di bambini hanno trascorso la loro infanzia nell’Icam della Giudecca: «Abbiamo avuto rapporti con il carcere dal 2003 al 2019, da quando presi in affidamento una coppia di gemellini di tre anni. A quel tempo l’Icam non esisteva ancora» racconta Forcolin. Per una decina di anni le cose andarono bene e la direzione favorì il lavoro dell’Associazione, ma poi divenne necessario fare degli accordi con il carcere e le altre istituzioni e, paradossalmente, i rapporti peggiorarono: «Più chiedevamo l’attuazione degli accordi e meno lavoravamo in collaborazione e serenità, addirittura ci vietarono di parlare con le madri» dice. Poi spiega il motivo ultimo per cui nel 2019 hanno interrotto la collaborazione con il carcere: «C’era una detenuta con due figli e il maggiore stava per compiere sei anni. Noi chiedevamo che venisse attuato un gruppo di lavoro che con la madre avrebbe dovuto programmarne l’uscita. Questo però non si riunì mai e un giorno arrivò la comunicazione dell’affidamento giudiziario senza alcun preavviso per la famiglia e senza avvalersi di noi, che avremmo potuto accogliere in affidamento il bambino o almeno accompagnarlo nella famiglia scelta dalla banca-dati del Comune» racconta. Solo ora, con l’uscita dal carcere della madre, la famiglia ha potuto ricongiungersi. Ma sono stati anni difficili sia per il primo bambino che per il secondo, rimasto “recluso” fino all’ultimo e – con il lockdown – senza alcuna possibilità di uscire. Ora non si sa chi potrà portare avanti il lavoro che svolgeva la Gabbianella nel seguire e accompagnare i bambini fuori dal carcere: «Ho chiesto al Comune, ma nessuno mi ha risposto». Carla proprio per questo ha realizzato inoltre una petizione, che sostiene attraverso il suo libro, in cui chiede che gli accompagnatori dei bambini siano pagati direttamente dal Ministero di Giustizia: «Così si riuscirebbe a far frequentare l’asilo nido e la scuola materna a questi bambini». Reclusi contro la loro volontà.
Francesca Catalano