«Ho accolto questo nuovo incarico con sorpresa e allo stesso tempo come una sorta di provocazione a mettermi in gioco. È una sfida bella, positiva, che comporta anche una certa responsabilità». Padre Francesco Vercellone parla così del ruolo che è stato chiamato a rivestire a Venezia, nella Casa Madre dei Canossiani. A San Giobbe è arrivato un mese fa insieme a Lorenzo Criveller, giovane ventiduenne di Feltre che il sacerdote accompagnerà nell’esperienza del noviziato. «Nei prossimi dodici mesi – spiega infatti padre Francesco – Lorenzo sarà aiutato a verificare la propria vocazione». Un arrivo nella realtà parrocchiale di Cannaregio in seguito al trasferimento di padre Stefano Grigoli che, dopo sette anni di presenza a San Giobbe, ha raggiunto la comunità di San Giorgio in Acilia, nella periferia sud di Roma. «Ogni avvicendamento comporta un distacco ed una sofferenza sia da parte di chi lascia la comunità sia per chi resta. Specialmente – il commento del parroco, padre Carmelo Mandalà – se si tratta di un religioso che ha servito la parrocchia e il patronato con tanto amore e generosità». Parole a cui si è aggiunto il ringraziamento per un servizio che padre Stefano ha rivolto soprattutto alla cura ed assistenza dei fratelli bisognosi. Agli ammalati ed agli anziani. Al suo posto sono arrivati padre Francesco e Lorenzo che, come sottolineato dallo stesso parroco, avrebbe dovuto inserirsi nel noviziato internazionale canossiano di Nairobi, in Kenya. Ma non è stato possibile per via della pandemia.
Formare, cioè crescere insieme. Nato a Verona quarantasette anni fa, padre Vercellone è prete dal ’99. Diverse le comunità dov’è stato: in Sicilia, a Conselve (Padova) vivendo un’esperienza in una Casa famiglia e a Fasano (Puglia), come responsabile dell’oratorio. Ed è stato proprio questo il suo ultimo incarico, portato avanti per dieci anni. «Aver scelto di venire qui, nella Casa Madre, per vivere questo tipo di esperienza, credo sia significativo», dice, spiegando come lui e Lorenzo saranno comunque inseriti nella realtà parrocchiale, accanto ai padri Carmelo e Samuel, incaricato dell’oratorio. «L’esperienza formativa? Significa sempre crescere insieme. Esattamente come nella catechesi, nell’oratorio e nei gruppi non è che l’educatore soltanto aiuti i giovani nella crescita: avviene anche il contrario. Ecco perché credo che questo nuovo incarico possa rappresentare un arricchimento anche per me», continua il sacerdote veronese, soffermandosi sul contesto lagunare che un po’ alla volta lui e Lorenzo stanno imparando a conoscere.
«Quella di Venezia è una realtà particolare, unica. La stiamo scoprendo nelle sue ricchezze e possibilità come pure nei suoi disagi. È una città caotica, piena di turisti che vanno e vengono in un viavai frenetico. Ma allo stesso tempo, anche proprio a San Giobbe, si può ricavare uno spazio di quiete. Abbiamo scelto questo luogo per vivere in un ambiente un po’ particolare che può favorire i mesi del noviziato, esperienza di riflessione e preghiera». Per le prime impressioni sulla comunità parrocchiale è ancora presto – la ripresa delle attività, a causa del Covid, è ancora lenta e incerta – ma la voglia di conoscerla a fondo e di inserirvisi è tanta. Nel frattempo padre Francesco è convinto che i prossimi mesi potranno essere l’occasione, per lui, per riscoprire le motivazioni fondamentali, profonde della sua («e nostra») scelta di vita. «Il mio augurio? Avere ogni tanto l’opportunità di riscoprire ciò che ci muove dentro: dare importanza alla preghiera e al silenzio, cose che nella vita normale a volte facciamo fatica a garantirci. E, pensando al periodo difficile che stiamo vivendo, aggiungo che forse abbiamo compreso che ciò che più conta non è tanto il fare o il riempire le agende. Ma giocarsi le relazioni con le persone e con il Signore. Ecco, questo auguro davvero alla comunità».
Marta Gasparon