La recente vicenda dell’aggressione di una coppia di turisti francesi in campo Santa Margherita, nel pieno della “movida” del centro storico veneziano, preoccupa profondamente, suscita domande, perplessità e paure in ordine alla questione educativa, già molte volte richiamata, ma sempre più urgente e complessa, tale da richiedere una risposta attenta, soppesata e condivisa.
Il fatto di campo Santa Margherita si situa in una “stagione” segnata drammaticamente dalle vicende di Willy Monteiro e dall’omicidio dei giovani fidanzati leccesi Daniele ed Eleonora. Come Vescovo di questa Chiesa, quindi come prete, provo sgomento e dolore. Siamo dinanzi ad una forma di sordità: sembra che il male ci schiacci e, attraverso la risonanza mediatica, si propaghi offrendoci un macabro spettacolo di sangue. È un male che anestetizza e consegna ad una facile rassegnazione.
Da più parti giungono voci allarmate di pedagogisti, psicologi, sociologi, sacerdoti e genitori che, dai loro differenti punti di osservazione, rilevano nei giovani, fragilità, sofferenze sopite, rimosse, indecifrabili: ferite e debolezze che si manifestano, sempre più spesso nel bullismo e nella violenza gratuita. Non esiste il “giovane” in astratto, come “i giovani” non sono solo una categoria sociale, piuttosto, persone concrete che hanno bisogno d’amore, ascolto e accompagnamento.
Con voce profetica, Papa Francesco ha recentemente indetto il Sinodo sui giovani col quale ha inteso rammentarci come proprio i giovani devono essere posti, quotidianamente, nell’ “agenda” di una società troppo spesso programmata solo da adulti per adulti. Nell’esortazione post sinodale, “Christus vivit” Papa Francesco afferma: «la gioventù non è un oggetto che può essere analizzato in termini astratti. In realtà “la gioventù” non esiste, esistono i giovani con le loro vite concrete. Nel mondo di oggi, pieno di progressi, tante di queste vite sono esposte alla sofferenza e alla manipolazione» (Christus vivit 71).
Il disagio giovanile ha molte cause e non è questa la sede per analizzarle. Tuttavia non possiamo permettere che questi dolorosi fatti di cronaca ci lascino indifferenti. Per quanto l’omicidio di Willy Monteiro non sia stato compiuto da persone in età precoce, dobbiamo però domandarci quali modelli, quale formazione e quale contesto sociale abbia guidato la loro crescita.
Troppo spesso ci si dimentica che i giovani sono figli, oltre che della loro famiglia, anche di una “stagione” storica e delle scelte dei corpi sociali che li circondano. Grande danno è compiuto anche da chi abdica al ruolo di educatore o, ancora peggio, da parte di chi veicola idee e stili (i cattivi maestri) volti a favorire un individualismo materialista ed edonista, che reclama solo diritti e rifiuta ogni dovere.
Alla fine, come scrive Gilbert K. Chesterton «La crudeltà è, forse, il tipo peggiore di peccato. La crudeltà intellettuale è certamente il tipo peggiore di crudeltà» (All things considered).
Per sollecitare un dibattito comune parto da una riflessione: tale criminalità sempre più frequente denota la fragilità dei nostri giovani ed è, anche, il frutto di una generazione che ha rinunciato ad essere “adulta”, ha rifiutato di diventare punto di riferimento e ha voluto in modo “innaturale” prorogare la sua adolescenza, abdicando alla responsabilità delle scelte e al suo ruolo educativo. C’è poi un vuoto ideale per cui si è rinunciato a trasmettere la passione del pensare e non si è più testimoniata l’importanza del sacrificio.
Quante volte poi assistiamo a livello istituzionale e non solo a promesse disattese da parte di uomini e donne sempre pronti “per ogni stagione”. La Chiesa non intende porsi come censore di un costume morale ma come fermento vivo secondo la volontà del suo divino Fondatore, come comunità di redenti, vuole continuare ad annunciare Cristo, nel rispetto della laicità. Propone, quindi, un responsabile discernimento tra ciò che è bene e male affinché i nostri giovani diventino protagonisti della loro scelta di felicità e possano “contagiare” nel bene il mondo in cui vivono. Questo sia il modo di intercettare le loro ferite e fragilità.
+Francesco Moraglia
Patriarca