A San Francesco della Vigna tutto è pronto per la festa del 4 ottobre dedicata al padre fondatore dell’Ordine francescano. Il giorno prima, sabato alle 18.30, sarà celebrata la Messa vespertina presieduta come da tradizione da un padre domenicano, fra Daniele, a cui seguirà il ricordo del cosiddetto “transito” di San Francesco, ossia la memoria dei suoi ultimi momenti di vita e del saluto alla comunità dei frati che ruotava intorno a lui. «Alterneremo letture a canti, preghiere e gesti, come ad esempio la distribuzione del pane benedetto», spiega padre Rino Sgarbossa, direttore della biblioteca, sottolineando come tali appuntamenti siano ormai una tradizione. Non si può dire lo stesso di un ulteriore terzo momento pensato apposta per l’occasione: quello dell’inedita esposizione di un crocifisso che per lungo tempo è rimasto custodito in convento, appeso ad una delle sue pareti del primo piano, ad insaputa di molti fedeli. Fedeli che il 3 ottobre avranno finalmente la possibilità di ammirare l’opera in tutto il suo splendore, dopo un accurato lavoro di restauro – durato tre anni – condotto da Milena Dean. L’intervento, eseguito sotto la sorveglianza della Soprintendenza, è stato possibile grazie al finanziamento di “Save Venice” e più precisamente dei coniugi Mary Katherine ed Alex Navab. E il tutto per interessamento del direttore dell’Ufficio Venezia del comitato americano, Melissa Conn.
Un crocifisso “parlante” e miracoloso. Un crocifisso, quello portato a nuova vita, di grandi dimensioni (190 cm d’altezza) e tardogotico. «Che si può dunque collocare tra la fine del ’300 e i primi decenni del ’400», dichiara Dean, descrivendone alcune caratteristiche. «In legno d’acero e in origine forse collocato sul pontile dell’antica chiesa francescana, dalla metà dell’Ottocento trovava posto nel corridoio del dormitorio del convento». «E’ un Cristo che mi ha impressionato sin dall’inizio. Non conosciamo bene la storia – commenta padre Rino, imputando la causa anche alle soppressioni napoleoniche che distrussero gran parte degli archivi – ma ho trovato la cronaca di un frate che, verso la fine del XIX secolo, ha fatto una cronografia del convento in cui si accenna ad un crocifisso miracoloso. E attorno al quale vi fu una grande devozione, tanto da essere portato in chiesa, dove restò per un paio di secoli, finché non venne appeso nel corridoio». «Fino a Pasqua – spiega Conn – sarà posizionato nella cappella Badoer, affinché il legno si adatti al clima della chiesa. Poi sarà posto sull’altare maggiore». «Prima del restauro lo stato di conservazione era pessimo: 10 gli strati di ridipintura sopra il colore originale, un attacco biologico in atto (funghi e tarli) e caduta di grandi scaglie di colore.
Motivo per il quale sono state necessarie la progettazione ed esecuzione di un impegnativo restauro che ha permesso di recuperare le splendide policromie originali», illustra Dean, specificando come nel corso dell’intervento sia emersa una particolarità. «Il crocifisso era dotato di un complesso meccanismo all’interno della testa. Si trattava cioè di un manufatto che, in particolare nelle celebrazioni del Venerdì Santo, permetteva d’inscenare la morte di Cristo. Riproponendo, col movimento della lingua inserita nel cavo orale assieme all’emanazione di fumi d’incenso dalla bocca, l’urlo emesso prima di spirare. Le sacre rappresentazioni? Hanno inizio in epoca alto medievale, proseguendo fino alle restrizioni imposte dal Concilio tridentino». Dopo il quale questi crocifissi persero la loro funzione “teatrale”, eliminandone i sofisticati meccanismi.
Marta Gasparon