«Fellini è stata la ragione per cui io faccio il cinema: era il 1962, sono entrato al cinema e proiettavano 8 e mezzo. Ho capito che il regista, come dice Bresson, cerca di farti vedere quello che non si vede e sono rimasto sedotto».
Lo dice Pupi Avati, che mercoledì 9 ha ricevuto, alla Mostra del Cinema al Lido di venezia, il Premio “Robert Bresson”, conferito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, la voce della Chiesa italiana nel mondo del cinema e della cultura.
«Da oltre cinquant’anni Pupi Avati scandaglia le dimensioni più autentiche dell’essere umano e ne ricerca il senso spirituale, per scorgere la grazia nell’ombra delle cose». Così, don Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo ha motivato il riconoscimento al regista bolognese. Il riconoscimento, che ha il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura e del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede,è giunto quest’anno alla sua ventunesima edizione.
Ha aggiunto poi don Milani: «Nel corso del suo lungo e appassionato percorso artistico, Pupi Avati ha affrontato generi e registri espressivi diversi e distanti tra loro, dall’horror gotico alla commedia familiare, dall’autobiografia che evoca il passato nella provincia emiliana al dramma storico di epoche perdute. Ma c’è qualcosa che accomuna tutti i frutti della sua opera: in ognuno risplende il desiderio di raccontare luci e ombre del mondo, attraverso il diaframma di uno sguardo lucido e capace di penetrare i sentimenti nascosti e le pulsioni più inconfessabili degli esseri umani».
Lorenzo Mayer