«In ambulatorio oggi viene il 10% delle persone che ci venivano prima. Ma da questa crisi potrebbero uscire anche dei frutti buoni. Questa è una buona occasione perché medici e pazienti si rendano conto che alcune cose possono essere gestite, almeno in prima battuta, in maniera indiretta, al telefono o via internet. Questo libererebbe tempo e risorse per le visite più importanti e per una sanità più efficiente».
A dirlo è Luca Barbacane, medico di medicina generale a Martellago e segretario dell’Ordine dei Medici della provincia di Venezia. La sua è la considerazione del professionista di fronte alla crisi inaudita. Ma è anche la voce di chi c’è passato anche personalmente dentro l’ansia da Covid-19: «Ho appena messo in file un poker di negativi», dice con soddisfazione.
Ha infatti appena superato con l’esito di negatività anche il quarto tampone, fatto da quando, all’inizio di marzo, è entrato in quarantena.
Il 5 marzo aveva infatti appena visitato un paziente, a casa sua, che presentava i sintomi da polmonite, rivelatisi poco gli esiti del contagio da Covid-19. Da lì è partita la quarantena per il medico: a casa, in locali separati e con ritmi diversi rispetto al resto della famiglia, lavorando ugualmente, ma al telefono e al computer.
Poi, da lunedì 23, a poker di negatività conseguito, il ritorno al lavoro nella medicina di gruppo integrata in cui condivide la professione con altri otto medici, gli infermieri e il personale di segreteria.
Ha avuto paura in queste due settimane?
Io che, nonostante le apparenze, non ho difficoltà a qualificarmi come un ansioso, ho cercato di gestirmi con degli… antidoti. Il mio antidoto si chiama ottimismo della volontà. Sono cioè consapevole che è conveniente vedere il bicchiere mezzo pieno. Intanto perché è biologicamente dimostrato che l’ottimismo si accompagna alla buona tenuta delle difese immunitarie; poi perché ero realmente sereno, confidando nel fatto che le precauzioni che avevo usato, quando sapevo di espormi con i pazienti, fossero sufficienti.
E con la sua famiglia?
Ugualmente: non volevo trasmettere a mia moglie e alle mie figlie la sensazione del pericolo incombente. E anche se sono stati 14 giorni confinati a casa, in spazi separati, la strategia ha funzionato.
E adesso che la quarantena è terminata, le abitudini domestiche sono tornate quelle di prima?
In parte sì e in parte no. Mi sono proposto di continuare ad usare qualche cautela ancora per alcune settimane, finché l’epidemia è forte.
Per esempio?
Abbiamo allungato il tavolo del soggiorno, per cui siamo seduti allo stesso tavolo a pranzo e cena, ma a una distanza tale per cui riduciamo il pericolo di contagiarci reciprocamente.
E al ritorno al lavoro in ambulatorio, invece, che cosa ha trovato?
Un ambulatorio disertato dai pazienti. Da sempre, da 12 anni, riceviamo solo su appuntamento e i pazienti sanno che devono prima telefonare. Ma da inizio marzo abbiamo scaglionato gli accessi, per cui la sala d’attesa è vuota e chiamiamo i pazienti dentro uno alla volta.
Altre precauzioni?
I pazienti entrano solo con la mascherina. E noi sanitari abbiamo tutti una mascherina Ffp2, quella con il filtro.
E dove le trovate?
Abbiamo scoperto, tramite il consorzio agrario, un piccolo filone… “mascherifero”, e lì ci approvvigioniamo.
Ma serve davvero?
Sì: trattiene quanto viene espirato. Quindi protegge non tanto chi la indossa ma il suo interlocutore.
Lei dice che la presenza in ambulatorio si è ridotta del 90%. Come le pare stiano vivendo questa situazione i pazienti?
Fin all’inizio sono stato positivamente colpito dalla capacità dei pazienti di adattarsi alla situazione; anzi, di proteggerci. L’ho davvero percepito: tutti hanno ben capito la tensione cui siamo sottoposti e quindi c’è un modo ancora molto cordiale e rispettoso di rapportarsi con il medico. Arrivano tanti messaggi, stamattina mi hanno telefonato in due solo per dire: forza, coraggio, siamo con voi. Questo ci conforta.
Ma l’attuale modo di fare il medico di famiglia è più o meno efficace di prima?
Questa esperienza ci ha catapultati in una dimensione mai sperimentata prima. C’è sia il meglio che il peggio, ma secondo me è una buona occasione per liberare tempo e risorse. Con la modalità attuale scremiamo le segnalazioni che sono piccola patologia gestibile a distanza, visitando poi le persone che sono da visitare davvero. Nulla, comunque, sarà più come prima.
Sul fronte dell’epidemia che cosa sta vedendo dal suo osservatorio di medico a Martellago?
Consultavo il cruscotto sul portale della Regione Veneto che a ogni medico di famiglia segnala quanti suoi pazienti sono stati sottoposti a tampone e quanti siano risultati positivi. La settimana appena trascorsa è stata quella per cui viene da pensare al bosco d’autunno, quando aspettiamo i funghi e quelli cominciano a spuntare. Sono affiorate le positività che attendevamo. Avevo due positivi dieci giorni fa, ma adesso sono diventati otto, con incrementi solo nell’ultimo fine settimana. Questi pazienti stanno mostrando la positività sulla base di contatti acquisiti 10-15 giorni fa. Ma adesso possiamo anche chiedere i tamponi mirando meglio la tipologia del paziente e non tentando in modo indifferenziato.
Le caratteristiche dei positivi?
Sono persone di mezza età: quella dei cinquantenni è la zona più affollata. Per fortuna la patologia qui non è aggressiva come in Lombardia perché, su otto positivi, ne ho solo uno ricoverato e ormai prossimo alla dimissione.
Cosa prevede per il futuro?
Che fino al vaccino il virus diventerà endemico e fino ad allora noi medici immaginiamo un futuro diverso, improntato alla prudenza per noi e per i pazienti.
Giorgio Malavasi