«La scuola è chiusa da giorni e lo rimarrà ancora per molto. I bambini vorrebbero rivedere le loro maestre e tornare a scuola, è nostro dovere provare a contattarli con tutti i mezzi a nostra disposizione».
A questo, prima che ad andare avanti con il programma, serve la didattica digitale. I sentimenti di Cristina Virgili, insegnante dell’istituto comprensivo paritario della Fondazione Giovanni Paolo I, sono gli stessi di migliaia di maestre e professori in questi giorni. Se i bambini sentono la mancanza della scuola, i docenti la avvertono ancor di più e all’istituto paritario veneziano, dove le tecniche della scuola digitale si masticano da tempo, di fronte all’emergenza piattaforme e e-learning sono stati attivati in poche ore.
«Siamo dell’idea che insegnare non sia di certo accedere ad una piattaforma o parlarsi tramite un device, ma in questa situazione di emergenza è fondamentale cercare di trovare una soluzione» continua Cristina Virgili, «da qui l’idea di cercare prima di tutto un contatto umano, mandando una lettera, un audio perché i ragazzi sentano la nostra voce, un video per potersi guardare. Così una bacheca speciale sul registro elettronico ha permesso fin dai primi giorni agli studenti di lasciare commenti e messaggi».
Stabilito il contatto, si è poi passati alla fase due: «Per noi questo non era sufficiente. Abbiamo deciso – continua la docente – di adottare la piattaforma G suite for Education, piattaforma gratuita di servizi Google con cui abbiamo avuto accesso a Google Classroom, una classe virtuale in cui i docenti possono creare lezioni simulando la realtà scolastica, condividere informazioni, distribuire compiti, domande e risorse».
E come in ogni classe, anche per frequentare quella virtuale bambini e ragazzi hanno dovuto confrontarsi con delle regole, utilissime per imparare a gestire le dinamiche a volte insidiose del web. Dal parlare uno alla volta in una conference call, al comprendere che il “virtuale è reale” soprattutto nelle conseguenze di ciò che si invia o si scrive, al comprendere che la parola scritta e lanciata on line può ferire o essere fuoriluogo fin dalla chat con la maestra.Concetti utili da imparare anche “in tempi normali”, attraverso una scuola digitale che sempre di più sta mostrando sui banchi le sue potenzialità, pur senza sostituirsi integralmente agli strumenti tradizionali. «Con gli strumenti tecnologici e le possibilità che i nuovi device offrono possiamo differenziare il lavoro con i bambini e aumentare l’accesso alla conoscenza anche attraverso le vie non tradizionali» afferma Maria, giovane insegnante della Giovanni Paolo I, le cui scuole sono la “San Pio X” a Mira e “San Domenico Savio a Oriago”.
«La nostra scuola già da tempo usa le tecnologie – contina la docente – studiare storia facendo un quiz su Kahoot, facendo un tour virtuale nelle piramidi d’Egitto, o studiare scienze vedendo l’ologramma di una pianta o l’interno del corpo umano con la realtà aumentata, di sicuro fissa gli apprendimenti in modo più efficace e duraturo rispetto al semplice studio, seppur necessario, dal libro. Il nostro obiettivo è dare degli strumenti ai ragazzi, insegnare loro ad utilizzare le tecnologie per apprendere meglio, in un’ottica di collaborazione e partecipazione attiva».Anche la didattica a distanza, insomma, può servire a trasmettere non solo nozioni ma anche valori.
E ora che si è tutti così lontani, anche vicinanza: «Questo è lo sforzo che stiamo facendo tutti – osserva anche la docente Forlani – ci teniamo ad arrivare il più vicino possibile ad ognuno, immaginiamo i nostri alunni nelle loro case più di quanto non abbiamo fatto prima. Non cerchiamo compiti e schede, cerchiamo il modo migliore per aiutarci e rassicurarci, per crescere un pochino ogni giorno, per farci compagnia e rimanere vicini. Proprio come a scuola».
Maria Paola Scaramuzza