Mancano ancora alcuni interventi, ma Ennio Moresco si avvia ad essere l’uomo che ha ridato vita e funzionalità a tutti i meccanismi di apertura e chiusura della Scuola Grande di San Rocco.
Così non solo si è riportata a splendore una ricca serie di chiavi, serrature e catenacci: oggi, infatti, si può tornare a conoscere e ammirare la maestria degli artigiani veneziani di mezzo millennio fa.
Il che non è cosa da poco, perché tra il finire del ‘400 e il principio del ‘500 la Scuola Grande di San Rocco era uno dei luoghi meglio difesi di Venezia. Sia per la ricchezza di ciò che conteneva che per la tecnologia messa a protezione, era una sorta di Fort Knox della Serenissima.
Quel forziere impossibile da aprire anche per Napoleone. «Non è un caso, d’altronde – spiega Moresco, dinanzi ad un forziere del ‘400 – che per aprire questa cassa, dopo la conquista napoleonica, abbiano prima tagliato il lucchetto e, siccome il forziere resisteva, l’abbiano devastato forzando le cerniere». Ad aprirlo non ci sono riusciti: le chiavi i predatori non ce le avevano; perciò l’unica via era usare la forza bruta.
Oggi quel cassone dalla secolare storia è tornato a vivere, non solo nelle parti in legno, ma soprattutto in quel sistema combinato di serrature che ne consentono l’apertura e la chiusura.
Ma perché questo accadesse bisognava che una persona capisse la sequenza di azioni da compiere. Per esempio, è solo premendo leggermente in un certo punto con una chiave che compare una serratura nascosta, grazie a cui si può procedere nell’operazione.
Poi bisognava ricostruire le chiavi che erano andate perse. E bisognava farlo con la precisione e l’accuratezza di chi le aveva realizzate per la prima volta, secoli fa.
Dalle saldature ai meccanismi di precisione. Chi ha compiuto tutto questo è, appunto, Ennio Moresco. Di Oriago, 59 anni, una vita professionale a coltivare una grande passione per i metalli, i meccanismi e le lavorazioni di precisione. Quasi un orafo là dove, in genere, si lavora con le grandi quantità e i grandi pesi più che con la finezza.
«Sono nato come saldatore», racconta: «Ho fatto, a metà degli anni ’70, una scuola professionale, a Dolo, che adesso purtroppo non c’è più. Vi si usciva che sapevi tutto sui metalli e sui procedimenti di saldatura. Il lavoro era garantito».
Ha saldato 3mila metri quadri di lastre in piombo sulle cupole di San Marco. Poi 19 anni di lavoro per un’impresa, la Nuova Sicem, con la quale si è operato per anni in basilica di San Marco, in particolare per realizzare l’impianto elettrico. «Poi – riprende Moresco – mi sono messo in proprio e ho aperto “Sedici valvole”, un’officina in area industriale a Marghera. Ho fatto lavori per auto e moto, creando meccanismi che non c’erano in commercio, ad esempio gli impianti di scarico». E poi ancora lavori per San Marco: «Ho saldato l’80% dei 4mila metri quadrati di lastre in piombo che coprono le cupole. Tutti rappezzi che non si vedono, fatti con la fusione e non con la stagnatura».
Infine, nel 2014, si aprono le porte della Scuola di San Rocco: «Ho cominciato dalla sala della Cancelleria vecchia, dove c’erano quattro “armaroni”, quattro armadi ognuno dei quali con una serratura, perché lì erano conservati documenti importanti. Erano tutti senza chiavi. Sono state le prime chiavi che ho rifatto: all’inizio mi sembravano complicatissime, delicate, anche perché mi ero fatto prendere dalla responsabilità di lavorare per un ambiente antico, storico. Adesso non dico che mi risultino banali, ma sono molto più facili».
Dopo di allora parecchie le opere portate a termine, come le tre chiavi – due restaurate e una costruita ex novo – terminate pochi mesi fa. Servivano per aprire e chiudere il portone centrale e altre due porte. Ai tempi della Serenissima erano affidate a tre persone diverse così che, senza che convenissero tutte alla Scuola, era impossibile aprire l’edificio. Sicurezza, prima di tutto.
Cesellato anche ciò che era nascosto. Poi ci sono le chiavi del forziere, ricostruite com’erano grazie alla virtuosa abitudine della Scuola di non buttar via nulla, neanche ciò di cui non si sa niente. Così, incrociando i disegni precisissimi realizzati a metà Ottocento di ciascuna chiave e serratura con ciò che è emerso da cassetti e cassapanche, Moresco ha recuperato quasi l’intero patrimonio di San Rocco: «Oggi abbiamo affinato i materiali e abbiamo le macchine per lavorare, ma l’ingegno e la precisione del lavoro fatto a mano allora sono impressionanti. Avevano solo dei martelli, del ferro e un braciere…».
La povertà dei mezzi di cinquecento anni fa era inversamente proporzionale alla precisione e alla cura del dettaglio: «Alcune serrature antiche che ho smontato erano miniate perfino dentro e avevano i meccanismi di scorrimento cesellati. Ma era così che si lavorava una volta: anche le cose che non erano in vista venivano estremamente curate. Erano davvero mostri di bravura». Una bravura che Ennio Moresco ha riportato alla luce e rinnovato.
Giorgio Malavasi