«Spero che nel giro di 15 giorni, quando ci saranno dei dati più corposi e si avrà modo di capire meglio l’evoluzione della malattia e dei soggetti ricoverati, tutto posso essere ricondotto ad una ben più normale dimensione».
Una previsione e un auspicio, quella di Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Venezia e vicepresidente nazionale dell’Ordine. «La maggior sfida oggi – prosegue Leoni, chirurgo all’Ospedale civile di Venezia – è contenere la diffusione locale del virus e verificare se le misure di contenimento prese hanno una reale efficacia. Non possiamo che seguire giorno per giorno il numero dei soggetti che si dimostreranno positivi e la loro evoluzione clinica. Ma senza nulla togliere alla pericolosità del momento, è possibile e non solo auspicabile che si vada incontro all’evoluzione dell’influenza stagionale». Domenica 23 mattina, ricorda Giovanni Leoni, «ero di turno in ospedale e avevo iniziato il mio giro in chirurgia, quando alcuni colleghi mi hanno avvisato di avere due casi in rianimazione: due pazienti maschi, di età molto avanzata, con una sindrome respiratoria acuta – essenzialmente una polmonite virale – risultati positivi al test del coronavirus».
Sono i due veneziani ancora in terapia intensiva e rappresentano la metà dei casi riscontrati nella città storica (un terzo è ricoverato nel reparto di malattie infettive e un quarto è in isolamento a casa propria). “La nostra rianimazione – assicura Leoni – consente di tenerli in un ambiente separato. Intanto tutti i medici, gli infermieri e gli operatori del reparto, anche se non sono stati a contatto diretto con questi pazienti, sono stati sottoposti a tampone e si è provveduto alla disinfezione dei locali anche se, fortunatamente, si tratta di virus molto labili che vivono poche ore al di fuori dell’organismo umano. L’infezione è per contatto diretto tra persone, tramite goccioline di saliva, starnuti e colpi di tosse. Sono state attivate tutte le misure di prevenzione di altri contagi ma l’evoluzione è molto rapida e imprevedibile: non siamo in grado di sapere che cosa accadrà oggi”.
Di fronte a un virus per cui non ci sono né farmaci nei vaccini «l’unica risposta – assicura Leoni – è la quarantena e l’isolamento. Occorre possibilmente individuare la sorgente del contagio, i contatti che si sono via via propagati, sottoporre i casi sospetti alla quarantena e isolare i pazienti positivi, ma in pochi giorni lo scenario è cambiato: il virus non è più solo di importazione; ormai è residente in Italia e circolante sul territorio». I due uomini in rianimazione a Venezia hanno 88 anni e non si conoscono tra loro: «La patologia non è sempre letale come la Sars o l’Ebola, però al momento, non disponendo di antivirali specifici né di vaccino, possiamo solo praticare terapie di supporto e tentare di prevenire complicanze di sovrainfezione batterica. Ma il problema maggiore è evitare che si verifichi un deficit multiorgano, cioè che cedano non solo i polmoni, ma anche reni e fegato». Il vicepresidente Fnomceo esprime gratitudine e sostegno al personale sanitario dell’ospedale: “Tutti gli operatori si sono comportati in maniera assolutamente adeguata con grande senso di responsabilità, coraggio e abnegazione pur sapendo di rischiare in proprio e di mettere potenzialmente a rischio anche la salute delle loro famiglie, soprattutto il personale in prima linea del pronto soccorso”. Tuttavia, osserva, “dobbiamo proteggere e mettere in sicurezza tutti gli operatori perché se cominciano ad ammalarsi medici e infermieri, non potranno più aiutare e assistere i cittadini”. «E non facciamoci prendere dal panico». La quarantena, di cui la Repubblica Serenissima è stata maestra, è ancora efficace: “Se siamo sopravvissuti a diverse pestilenze senza antibiotici e respiratori automatici nonostante gravi perdite in termini di vite, lo dobbiamo alle misure messe in atto dai nostri antenati in termini di isolamento”.
Giorgio Malavasi Giovanna Pasqualin Traversa