«Abbiamo l’ambizione che Venezia abbia uno statuto speciale coniugato come un sistema di esenzioni fiscali per i cittadini e per le imprese con sede operativa a Venezia e nelle isole per ridurre i maggiori costi che ci sono rispetto alla terraferma». Il primo obiettivo dei separatisti è questo e a dirlo è Gian Angelo Bellati, presidente dell’associazione Movimento Venezia Autonoma. Che, aggiunge poi, di statuti speciali ce ne sono dieci tipi diversi, anche se sembra puntare a qualcosa di non troppo diverso da quello presente nelle regioni a statuto autonomo. Di sicuro Bellati boccia implicitamente la Zona economica speciale (Zes) appena concessa dal governo e che si applica solo ad alcune parti dell’attuale territorio comunale (quelle più depresse) in quanto ritiene che esperienze similari in altre aree depresse della Ue siano fallite, poiché non era possibile identificare con certezza quale parte della popolazione e del territorio (e le relative attività economiche esattamente) ne potessero usufruire. La suddivisione in due comuni autonomi secondo l’ex presidente di Unioncamere porterebbe vantaggi immediati anche alla terraferma poiché diminuirebbero le tasse locali, in particolare la Tari, mentre adesso i cittadini di Mestre pagano anche per i milioni di turisti che soggiornano in città per poi recarsi a Venezia.
«Cittadini di serie C, sia a Mestre che a Venezia». Separandosi, inoltre, Mestre potrebbe avere una sua identità e progettualità senza venire nelle decisioni dopo Venezia. «Se i due comuni fossero stati separati, il sindaco di Mestre avrebbe permesso la costruzione degli hotel low-cost per i turisti che vanno a Venezia?» domanda Bellati. «Se la popolazione reagisce e dice “poniamo un freno, mettiamo delle tasse a chi va nelle strutture low-cost di Mestre”, il sindaco di Mestre avrebbe paura a concedere le concessioni edilizie e ci penserebbe due volte prima di trasformare Mestre nel dormitorio turistico di Venezia, dopo essere stata per decenni dormitorio dell’industria di Porto Marghera. Siamo trattati come cittadini di serie C sia a Mestre, sia a Venezia. Ci sono problemi enormi che così non si risolvono». Bellati cita anche «il principio di sussidiarietà», di ispirazione cattolica, ricordando che «un dato territorio, con le sue competenze, dev’essere gestito il più vicino possibile al cittadino». Cosa che per Venezia si tradurrebbe a detta di Bellati in un maggior controllo dei flussi turistici e della questione delle grandi navi in laguna. «Il sindaco di Venezia non andrebbe mai in Comitatone – chiosa Bellati – a permettere lo scavo di nuovi canali che devasterebbero definitivamente la nostra città». Il presidente del Movimento Venezia Autonoma riporta anche una nuova problematica che si starebbe determinando con l’aumentare delle correnti marine, ovvero l’erosione al di sotto delle fondazioni. «Sotto le case di Venezia ci sono le caverne. E il legno delle palafitte non protetto dalla melma portata via dalle correnti viene esposto all’ossigeno. Con quali soldi e con quali sistemi riusciremo a rimediare al danno drammatico che si sta causando alle fondamenta della città?» aggiunge Bellati, secondo cui Venezia è esposta alle critiche di tutto il mondo perché non riesce a risolvere i suoi problemi.
Cambiare rotta. Infine a coloro che ritengono che il Comune unico sia la soluzione migliore per la città, Bellati replica che negli ultimi decenni nessuno è stato in grado in una realtà unificata di risolvere le problematiche delle due città: giocoforza, quindi, solo separandosi si potrà cambiare rotta. Questo per il passato. Volgendo lo sguardo al futuro Bellati invita ad andare a leggersi la parte centrale della sentenza del Consiglio di Stato, che ha ammesso il referendum, ove si trova scritto che per essere capoluogo di regione non serve la quantità delle persone e degli abitanti bensì la qualità degli stessi. «Dal primo referendum a oggi – conclude Bellati – la popolazione di Venezia e isole è scesa da 150 mila abitanti a 100 mila e poi ai 50 mila di oggi. Vorrei evitare che tra 20 anni si debba arrivare a contarne appena 15 mila».
Marco Monaco