L’export nel primo semestre 2019 dal Veneto verso la Gran Bretagna è aumentato del +7,5%. È l’effetto delle maggiori scorte delle aziende inglesi per tamponare eventuali blocchi alle frontiere o compensare almeno temporaneamente l’eventuale impennata dei dazi a seguito della Brexit.
Il dato è uscito oggi a Padovca dal convegno “Brexit: quali conseguenze per il sistema economico del Veneto?”, organizzato da Unioncamere del Veneto ed Eurosportello Veneto, in collaborazione con Nuovo Centro Estero Veneto e Direzione Interregionale Agenzia Dogane Monopoli per il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. L’incontro ha permesso di esporre i principali risultati sulle ricerche e indagini svolte e le implicazioni della Brexit nel contesto imprenditoriale europeo e in particolare veneto.
L’incertezza derivante dal processo Brexit e le possibili alternative in termini di risultati stanno già producendo effetti su investimenti, finanza e programmazione futura in molti comparti industriali, oltre al timore delle conseguenze politiche.
Il Veneto è una regione molto legata al mercato inglese in cui nel 2018 ha esportato oltre 3,6 miliardi di euro di beni, ben il 15,6% del totale nazionale. La bilancia commerciale è rimasta costantemente positiva per 2,9 miliardi di euro. E’ evidente che la Brexit avrà ripercussioni sulle imprese venete, le cui esportazioni nell’ultimo anno sono aumentate del +2% e, appunto, del 7,5% nel primo semestre 2019.
Il Regno Unito è un mercato importante per l’economia del Veneto, dove pesa per il 5,8% delle vendite regionali all’estero, dopo Germania, Francia e Stati Uniti. I rischi di un periodo difficile per il potere di acquisto degli inglesi e le inevitabili turbolenze sui mercati monetari con una sterlina sotto stress incideranno non poco nei flussi delle merci. I settori con maggiori vendite dal Veneto al Regno Unito sono quello dei macchinari (quasi 570 milioni di euro di beni venduti nel 2018 e un aumento del +6,3% rispetto all’anno precedente), delle bevande, in particolare dei vini (495 milioni, +4,9%), dell’abbigliamento (265 milioni, +9,2%), degli occhiali (258 milioni, +4,8%) e dei mobili (248 milioni, -5,9%). Questi primi cinque settori rappresentano oltre la metà (50,3%) delle esportazioni venete oltre Manica.
Gli effetti diretti e indiretti prodotti dalla Brexit sull’economia del Veneto sono stati analizzati anche grazie al modello input-output multiregionale-multinazionale sviluppato da IRPET (Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana). Tale consolidato sistema ha quantificato che il 2,1% del Pil veneto è attivato dai network intersettoriali e geografici che subiranno probabilmente modifiche a seguito dell’uscita del Regno Unito dall’UE, valore superiore sia alla media del Nord Est (1,8%) sia nazionale (1,4%). In particolare, lo 0,3% della quota è dovuto agli effetti che si ripercuoteranno nel resto d’Italia e lo 0,5% agli effetti complessivi nell’Unione europea.
L’esposizione del Veneto alla Brexit è stata calcolata in base a una simulazione basata sulla sensibilità del sistema economico regionale ai flussi di scambio Regno Unito-Europa, misurando l’importanza relativa di tali scambi nel determinare il Pil. I comparti industriali più a rischio dovrebbero essere quelli con più alto livello di specializzazione, così come quelli più esposti verso l’export (in particolare agroalimentare e tessile-abbigliamento).
«Unioncamere del Veneto non sta a guardare attendendo gli eventi sul futuro dell’economia europea e italiana a seguito dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, semmai si realizzerà, con o senza accordo. Con questo convegno abbiamo voluto comprendere e dare agli imprenditori una iniziale prospettiva per le scelte strategiche come l’export verso l’UK, gli investimenti diretti, la migrazione e la finanza – commenta Mario Pozza, presidente di Unioncamere del Veneto –. Abbiamo voluto anche fornire informazioni utili per i connazionali che vivono e studiano nel Regno Unito. Una cosa comunque è ben chiara a tutti: questa rottura nella creazione della “Casa comune europea” e interessi nazionali non coincidenti alimentano sempre più l’incapacità dell’Europa di governare a una sola voce nei negoziati internazionali come fanno invece Cina e USA».